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Vi racconto gli inediti attriti fra Mattarella e Conte

Che cosa è successo tra Quirinale e presidente del Consiglio? I Graffi di Damato

Prima o poi doveva capitare. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, coinvolto anche lui dalle furbizie e dai veleni della campagna elettorale per il voto europeo, regionale e amministrativo di domenica prossima, è inciampato nella riservatezza dei rapporti con il capo dello Stato. Che non ha gradito, per unanime versione dei giornali, nei titoli e nelle cronache, fra le quali si distingue per precisione e acutezza quella di Marzio Breda sul Corriere della Sera, la disinvoltura politica con la quale in una riunione a dir poco tormentata del Consiglio dei Ministri il professore si sia fatto scudo di Sergio Mattarella per fronteggiare le sollecitazioni di Matteo Salvini a varare il nuovo decreto legge su sicurezza e immigrazione. Che è stato approntato in 18 articoli dai suoi uffici, e già corretto proprio per andare incontro ai dubbi espressi dagli uffici del Quirinale nelle consultazioni che di solito precedono, e non seguono il passaggio per la sede collegiale del governo.

Sia chiaro, neppure questo incidente farà precipitare la situazione politica prima, e forse neppure dopo il voto di domenica. Senza aspettare la salita di Conte al Quirinale per chiarire le cose, con o senza scuse, lo stesso Salvini ha cercato di disinnescare gli esplosivi annunciando, in una intervista proprio al Corriere della Sera, che non farebbe un dramma se Conte, magari d’intesa con Mattarella, dilungasse ulteriormente i tempi del Consiglio dei Ministri. E li facesse slittare oltre le elezioni per completare l’esame interrotto del decreto legge cui il vice presidente leghista e ministro dell’Interno tiene tanto. Salvini vuole solo che, possibilmente con cortesia, gli vengano spiegate le ragioni.

D’altronde, in un altro passaggio della stessa intervista, questa volta riferendosi alle preoccupazioni, chiamiamole così, espresse pubblicamente dal suo omologo grillino Luigi Di Maio sulle intenzioni della Lega per il dopo-elezioni, visto il crescente malumore dei suoi dirigenti, e la sostanziale sfiducia espressa verso Conte alla Stampa dal sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti, il “capitano” del Carroccio ha sparso ottimismo a piene mani. Tranquilli, si fa per dire, “il governo – ha assicurato Salvini – non cadrà”, ha ancora molto da fare e “andrà avanti per quattro anni”: quanti ne devono ancora trascorrere per la conclusione ordinaria della legislatura. E, quindi, anche per l’elezione, da parte di questo Parlamento, del nuovo presidente della Repubblica, alla scadenza del mandato di Mattarella, anche se questo particolare Salvini ha evitato di ricordarlo, o precisarlo.

A rappresentare bene lo stato un po’ schizofrenico dei rapporti politici, e anche istituzionali ormai, nel nostro Paese è la contraddizione in cui è caduto anche il notista di lungo corso e di maggiore prestigio su piazza, già direttore del Corriere della Sera, sia pure per una breve stagione: il mio amico Stefano Folli. Che non più tardi di ieri, martedì 21 maggio, scrivendo su Repubblica “in morte di un governo”  -titolo dell’editoriale di giornata – ha osservato: “Che la campagna governativa dell’avvocato Conte sia giunta al suo epilogo è evidente a chiunque voglia scorrere in modo distratto le cronache politiche”. Ma, appunto, “in modo distratto”, perché a scorrerle poi con attenzione, con più scrupolo, si potrebbe arrivare a tutt’altra conclusione: che cioè né Conte né i suoi due vice siano arrivati o stiano arrivando all’epilogo, e non invece a una “fase 2” del governo, come ha appena annunciato Di Maio, affiancato dai ministri a cinque stelle, dopo avere espresso peraltro la preoccupazione, già accennata, che i leghisti vogliano la crisi. Eppure gli annunci di “nuove fasi” non hanno mai portato fortuna ai governi che vi hanno fatto ricorso in passato, di ogni tendenza e colore. Può darsi che Di Maio riesca a sfatare anche questa leggenda.

Lo stesso Folli, d’altronde, nella stessa nota, poco più avanti del referto fatale per il governo gialloverde, ha dovuto scrivere che “nulla si può escludere in questa stagione di miope cinismo”. Neppure che si riveli sbagliata la sua impressione che sia “molto complesso e forse improprio ricomporre il mosaico senza passare attraverso nuove elezioni”, politiche naturalmente, prima o dopo -non si sa- l’approvazione della legge di bilancio del 2020 imposta dalla Costituzione entro il 31 dicembre, salvo il ricorso all’esercizio provvisorio. Che, paradossalmente, proprio per la sua dichiarata temporaneità, potrebbe suscitare minori preoccupazioni nei mercati finanziari e nei nuovi organismi europei. Sembra una commedia, ma è chiaramente una tragedia. O una tragicommedia.

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