skip to Main Content

Javier Milei

Chi e come in Perù vuole cacciare il presidente Castillo

L'aumento dell'inflazione agita il mercato del lavoro in Perù e alimenta il conflitto politico. L’approfondimento di Livio Zanotti, autore de Ildiavolononmuoremai.

 

Che cosa succede in Perù?

Al Congresso, l’opposizione non riesce a coagulare la maggioranza necessaria a destituire il presidente Pedro Castillo, 52, e rimandarlo nella provincia dell’interno in cui faceva il maestro rurale, finché non è divenuto il rappresentante di successo della sua categoria per entrare poi in politica. Lui sembra intanto esaurire tutta la capacità di governante nel trovare di giorno in giorno i voti indispensabili per restare a Palazzo Pizarro. Mentre il paese prostrato dal Covid e ora dagli effetti inflazionistici dell’aggressione russa all’Ucraina, affonda in una crisi economica senza una visibile via d’uscita.

Non meno tenaci, però, avversari, critici (spesso alleati della settimana precedente) e nemici dichiarati della prima ora si mobilitano nel paese intero decisi a cacciarlo. Le piazze, pur non sempre affollatissime, appaiono in tumulto. Favoriti dalle sue ormai evidenti inadeguatezze, tanto come politico quanto come amministratore (ha formato e disfatto 5 governi in meno di un anno, attraverso i quali è transitato dall’estrema sinistra del primo all’estrema destra dell’ultimo), non si preoccupano neppure di mantenere nascoste le congiure che gli ordiscono contro una dietro l’altra.

Nelle intenzioni dichiarate, l’iniziativa riformatrice di Castillo avrebbe dovuto mettere mano alla Costituzione, ai settori più arretrati e inefficienti dell’amministrazione, dalla giustizia al sistema fiscale, alla sanità e all’istruzione (la concorrenza fraudolenta della pletora di università private a quella pubblica è stata tra l’altro la causa diretta della turbolenta fine del suo predecessore istituzionale) si è palesemente esaurita. L’aumento del costo della vita, cosi come in tutto il continente americano, surriscalda il mercato del lavoro e il confronto politico fino ad arroventare la già complessa situazione peruviana.

Ancora ieri numerose manifestazioni hanno invaso le maggiori città e a Lima gli scontri con i reparti della polizia anti-sommossa sono risultati sanguinosi. Il ministro della Difesa ha ammesso che nell’ultima settimana sono morte 4 persone e altre venti hanno sofferto ferite. A sconvolgere ulteriormente il clima politico e sociale, si aggiunge ora l’ennesima, acerrima battaglia giuridico-politica per la liberazione anticipata di Alberto Fujimori. La figlia Keiko con il suo partito di estrema destra si batte da anni e con ogni mezzo (è anche sotto processo per corruzione attiva e passiva) pur di ottenerla.

L’ex capo dello stato dal 1990 al 2000, originario del Giappone, ha oggi 84 anni. In carcere dal 2007 per corruzione aggravata e continuata con una condanna a 6 anni, nel 2009 ne ha ricevuta un’altra a 25 anni per strage e altre gravissime violazione dei diritti umani. Dovrebbe quindi restarvi fino al 2038. Ma in considerazione dell’età e dello stato di salute non buono (oltre alle notorie e spregiudicate pressioni politiche della figlia), i suoi avvocati hanno ottenuto una sospensione della pena. Al cui però si è opposta la Corte Suprema sulla base di rilievi essenzialmente procedurali. Castillo, in quanto capo dello stato, è investito anche da questa vicenda.

Il Perù vive tutte le difficoltà del suo incompiuto sviluppo: la forte dipendenza dall’export di materie prime, l’insufficiente mercato dei capitali e la ristrettezza di quello dei consumi interni, l’inadeguatezza delle infrastrutture. Ma più che mai, negli ultimi venti anni, a pesare è il fallimento dei suoi gruppi dirigenti: dai socialisteggianti eredi dell’Alianza Popular Revolucionaria (l’APRA di Haya de la Torre), ai militari populisti, alla collezione di economisti neo-liberisti, tutti infine protagonisti o comunque gravemente coinvolti in scandali finanziari clamorosi che hanno portato il paese alla bancarotta.

“La rovina del Perù è la corruzione, non il neoliberismo”, mi ha ripetuto più volte Alejandro Toledo nel corso della campagna elettorale che nel 2001 l’ha portato alla massima magistratura dello stato. La sua umile origine, il giovane volto indio illuminato dallo sguardo intelligente, che tra meritate borse di studio e lavori di facchinaggio pesante l’hanno guidato fino a un PhD. in Economia alla Stanford University di California, davano fiducia. Confermata da una brillante carriera nelle grandi banche multinazionali e nell’alta amministrazione peruviana. Dal 2017 è profugo negli accoglienti Stati Uniti per sfuggire alla giustizia peruviana che lo ricerca attraverso l’Interpol per gravi e molteplici atti di corruzione.

Back To Top