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Giorgetti

Che cosa penso del discorso di fine anno di Mattarella

Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, commentato dal notista politico Francesco Damato

 

In piedi come se fosse non dico in cortile, a pochi passi dal portone del palazzo, ma in prossimità di una delle uscite dalla sala del Quirinale scelta per pronunciare il tradizionale messaggio televisivo di fine anno, scartando quindi la scrivania o la poltrona di un salotto più consone ad una stabile permanenza, il presidente della Repubblica ha voluto ricordare in apertura del suo discorso i “pochi giorni” mancanti -“come dispone la Costituzione”, ha precisato- alla conclusione del suo “ruolo”. Egli non è quindi tornato a inserire il suo commiato “in un inciso”, di recente recente sottolineato dal quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda riferendo su una cerimonia augurale appena svoltasi sul Colle.

Eppure permettete ad un vecchio cronista politico e parlamentare di esprimere l’impressione ricavata di un saluto diverso da quello che era lecito aspettarsi dall’enfasi mediatica riservata a ripetuti segnali di indisponibilità di Mattarella ad una rielezione. Dalla quale, del resto, si è affrettata a confermare la sua contrarietà Giorgia Meloni avvertendo evidentemente anch’essa che l’ipotesi resta in campo.

Rispettoso com’è delle prerogative non solo sue ma soprattutto del Parlamento, per quanto appena sacrificate dall’ennesima edizione della legge di bilancio dello Stato approvata all’ultimo momento, in un regime di sostanziale monocameralismo, il buon Mattarella non può d’altronde impedire alle Camere di rieleggerlo, se lo volessero a dispetto della destra meloniana. Rieleggerlo e basta, d’accordo, senza quel mandato a termine contestato dai costituzionalisti in parrucca, o cattedra, ma ugualmente sperimentato e accettato da Giorgio Napolitano nel 2013 a conclusione del suo primo settennato in condizioni di particolari difficoltà politiche e istituzionali. Dipende dalla sensibilità. disponibilità e quant’altro del presidente della Repubblica rieletto valutar l’opportunità di assegnarsi una durata intera o parziale del nuovo mandato.

Lo stesso presidente Mattarella in una visione fiduciosa del futuro del Paese e delle capacità degli italiani di sapere dare il meglio di se stessi nelle difficoltà, che permangono pur nel quadro di una ripresa nel contesto di una pandemia ancora pericolosa, ha invitato “ciascuno” ad “accettare di fare sino in fondo la propria parte”. E non è detto che non gliene spetti ancora anche a lui, per quanto stanco possa essere e per quanta ritrosia possa avere maturata verso una rielezione da studioso e docente di diritto parlamentare. A volte le parti che ci spettano possono essere anche sgradite, o più semplicemente scomode.

In questo spirito come un italiano fra i tanti – che, se ne avesse avuto l’occasione, si sarebbe aggiunto la sera del 7 dicembre scorso agli applausi e ai “bis” levatesi verso Mattarella da ogni settore del teatro milanese della Scala di cui lui era ospite – ringrazio e ricambio di cuore gli auguri di buon anno rivolti dal presidente uscente della Repubblica. E auspico di sentirlo ancora rivolgersi ai concittadini dal Quirinale, almeno sino a quando non sarà ristabilita la normalità di una situazione politica e istituzionale oggi compromessa. E si sa bene da che cosa: da un Parlamento troppo invecchiato, se non delegittimato, da una riforma della sua composizione imprudentemente voluta all’inizio della legislatura dal partito maggiormente premiato nelle elezioni del 2018 e dagli alleati di governo via via avvicendatisi con una certa disinvoltura.

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