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Fregate

Vi spiego perché è folle castrare Leonardo e Fincantieri in Egitto

Basta isolarci e autoflagellarci per le commesse italiane di Leonardo e Fincantieri all'Egitto. L'analisi di Michele Nones, vice-presidente dell’Istituto Affari Internazionali

L’approvazione del governo alla richiesta dell’Egitto di acquistare due moderne fregate Fremm, quasi ultimate e destinate alla Marina militare, è un segnale che il nostro Paese, e soprattutto la sua classe dirigente, sta diventando più maturo. La conferma non sta solo nel risultato a cui si è pervenuti al termine di uno scrupoloso esame di questa richiesta, ma anche nell’approccio che è stato seguito.

Ovviamente hanno pesato anche altri aspetti, ma sono stati tasselli di un quadro ben più ampio. In questo momento di crisi economica, il valore della commessa, circa 1,2 miliardi di euro, è particolarmente importante. E lo è ancora di più la concreta prospettiva di fornire all’Egitto altre fregate e una classe di pattugliatori, oltre a velivoli da combattimento e addestramento, decuplicando il valore dell’attuale vendita e di fatto diventando il principale partner del processo di ammodernamento delle forze armate egiziane.

È un riconoscimento delle nostre aree di eccellenza tecnologica e industriale e anche delle collegate capacità militari: dopo e insieme alla fornitura vi sarà un grande impegno nell’addestramento dei militari e tecnici egiziani coinvolti e nel supporto logistico (la vita media di una nave o aereo arriva a venti anni, durante i quali vi possono essere più fasi di ammodernamento).

Perché se alla fine di una nuova commessa conta anche la volontà e il supporto politico, all’inizio conta l’efficacia e la competitività dei nostri equipaggiamenti e delle nostre capacità di “fare”: è valso per le recenti commesse americane a Fincantieri e Leonardo, così come prima per le navi e gli elicotteri al Qatar, per gli addestratori in Israele, per i velivoli da combattimento al Kuwait.

Lo stesso si può dire per il messaggio che in questo modo l’Italia da agli altri Paesi attuali o potenziali partner (ma anche ai concorrenti, persino quelli amici): siamo interessati e disponibili a costruire rapporti di collaborazione con i Paesi con i quali possiamo condividere l’impegno a tutelare la sicurezza internazionale e una pacifica convivenza seppur fra modelli politici diversi.

La rafforzata collaborazione italo-egiziana potrà favorire i nostri tentativi di contribuire a stabilizzare il fronte sud del Mediterraneo e, in particolare, il ginepraio libico dove, ormai, come nell’Italia medievale gli scontri interni sono guidati da forze esterne che, in alcuni casi, vi partecipano direttamente.

Nello stesso tempo questo accordo consentirà maggiori legami economici e industriali: l’Egitto rappresenta un mercato di 101 milioni di abitanti con un’età media di 24,7 anni. Detiene, inoltre, importanti risorse di gas, oltre al controllo del Canale di Suez.

Sui rapporti italo-egiziani pesa inevitabilmente il caso di Giulio Regeni. Resta una ferita aperta che nemmeno il tempo può lenire. Il caso di Patrick Zaki, pur completamente diverso, ha aggiunto un ulteriore problema al rasserenamento dei rapporti fra i due Stati.

Tenere separati i due piani, quello del giudizio morale e anche politico e quello dei rapporti fra i Paesi (nella consapevolezza che i rispettivi governi e anche forme di governo possono cambiare, ma che i Paesi restano), rappresenta l’unica soluzione possibile in un mondo inesorabilmente interconnesso e integrato, ma, soprattutto, complicato e mutevole come quello in cui ci dobbiamo abituare a vivere.

Non è pensabile far condizionare i nostri rapporti con gli altri Paesi da una specie di “tampone” che misuri ogni minima alterazione nel livello di democrazia e che ne porti automaticamente alla quarantena. Il risultato sarebbe quello di isolarci nel mondo e, di fronte ad alcune nostre discutibili decisioni o carenze, rischiare di autoflagellarci.

Ogni Paese deve essere valutato, in base alla sua storia e alle sue caratteristiche, sul piano dell’accettabilità nella comunità internazionale. E questo, nonostante la gravità dei casi Regeni e Zaki, ci consente sicuramente di perseguire il rafforzamento dei nostri rapporti con l’Egitto, continuando a esercitare nel contempo tutta la pressione possibile per ottenere risposte alla tragica morte del primo e alla reclusione senza condanna del secondo.

(Estratto di un articolo pubblicato su Affari Internazionali: qui la versione integrale)

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