Caro direttore,
girovagando in quel che resta del Google di una volta sono inciampato in un video su TikTok di certo Matteo Gracis, che non conoscevo ma che – attesta il sullodato Google – è direttore responsabile di lindipendente.online. Il video riguardava la non recente questione di un contratto del Pentagono con Reuter (prudentemente o distrattamente trasformato in “Roiter”), questione di cui a suo tempo si era occupato anche StartMagazine. Il dettaglio che mi ha colpito e in fondo divertito era l’uso, da parte di Gracis, della parola “cortigiani” (o “cortigiane” – non ricordo) per stigmatizzare i giornalisti che avevano in generale censurato la “scandalosa” notizia.
Qualche giorno fa avevo accarezzato l’idea di mandarti una letterina proprio sul tema della parola che aveva alimentato la solita tempesta nel solito bicchier d’acqua, quando Landini, reduce dalla guerra senza quartiere al conglomerato Agnelli-Elkann aveva dato a Giorgia Meloni della “cortigiana di Trump”. Avevo in mente di rileggere alcune perle di quei giorni secondo un parametro decisamente impolitico, la stupidità. Senza farla troppo lunga, l’uscita di Landini mi sembrava un po’ ardita alla luce della “vigile attesa” con la quale la già gloriosa Cgil di Landini sta accompagnando negli ultimi anni la graduale smobilitazione di quello che era il principale protagonista del principale comparto manifatturiero italiano, l’ex Fiat auto.
Ma, a pensarci bene, aspettarsi coerenza da un sindacalista che si muove più da politico non ha nessun senso. Dati i tempi ci sta la “cortigiana” perché un’opposizione priva di contenuti è condannata ad alzare i toni; ci sta l’indignazione d’ufficio della presidente del Consiglio; e la cosa poteva finire lì. Ma evidentemente anche Landini se non ha l’ultima parola soffre ed ecco la precisazione: non era un giudizio sessista, era un giudizio politico. A questo punto l’episodio si è abbassato (o elevato?) al livello dell’autogol, cioè della stupidità.
Ce ne sono state alcune altre di perle in quei giorni ma quella che mi ha addirittura commosso è stata la stentorea presa di posizione del cdr de Il Sole 24 ORE per l’intervista di Maria Latella alla presidente del Consiglio, là dove si parla del rischio di “approdare a una deriva nella quale gli interlocutori istituzionali si sceglieranno gli intervistatori…”. Di là dell’immagine, un po’ surrealista, di “approdo a una deriva”, è proprio lo “scandalo” dell’intervistato che “si sceglie” l’intervistatore che dà da pensare. Finché la concessione di un’intervista non diventerà un obbligo di legge, è ovvio che sarà l’intervistato il “decisore di ultima istanza” nella scelta dell’intervistatore. Infatti – come insegna non solo la splendente storia professionale di Oriana Fallaci – è la capacità di ottenere interviste a fare la differenza tra il giornalista di successo e l’onesto uomo di redazione.
Ma è questo il punto. Il giornalismo sindacalizzato e di conseguenza burocratizzato si sente investito del potere di spiccare una sorta di ordine di comparizione ai personaggi pubblici (“interlocutori istituzionali”). In questo caso al fattore stupidità si accompagna il fattore arroganza.
Vengo ora, caro direttore, al caso più recente e interessante. Sono consapevole di muovermi su un terreno minato e voglio rassicurarti: non ho intenzione di infliggerti una recensione del recentissimo (nella traduzione italiana: l’edizione originale in francese è uscita l’anno scorso) Ursula Gates di Frédéric Baldan. Che io sappia, il solo quotidiano a stampa a parlarne è stato La Verità di Maurizio Belpietro. Le librerie del centro, a Milano, hanno evitato con cura non solo di esporlo in vetrina ma anche nelle “gondole” dove si espone la merce più fresca. Nemmeno la notizia che le banche hanno chiuso d’ufficio i conti di Baldan (si può supporre considerino ormai Baldan un rischio reputazionale, un po’ come era capitato a Nigel Farage con la londinese Coutts un paio d’anni fa: ma siccome in quel caso la banca si era comportata in modo particolarmente goffo alla fine dovette dimettersi la presidente del gruppo controllante, la NatWestGroup) è riuscita a risvegliare un minimo di attenzione nel meraviglioso mondo dei media.
Mi guarderò bene dal ricorrere a frusti concetti come l’omertà o l’autocensura, perché qui si tratta di puro e semplice senso di responsabilità. E, come si diceva nel legalese di un secolo fa, valga il vero. Questo Baldan ha molti torti. Innanzitutto è un po’ come un prete spretato. Lobbista egli stesso, anni fa ha denunciato all’autorità giudiziaria niente meno che la presidente della Commissione europea. Inevitabile che i “servizi preposti” gli togliessero il patentino di lobbista, che gli dava accesso alle varie istituzioni dell’Unione europea. In secondo luogo, ha scritto un libro che è un rosario di dati di fatto, nomi e cognomi, debitamente documentati, senza alcuna teorizzazione, con ciò sottraendosi callidamente alla altrimenti sacrosanta accusa di complottismo, che di regola è sufficiente a bandire le teste calde dal consorzio civile. Si è avventurato in insinuazioni come quella di collegare l’insolita scelta dell’attuale presidente della CE di eleggere nella sede della Commissione a Bruxelles il proprio domicilio privato alla circostanza che palazzo Berlaymont sarebbe un luogo coperto dall’immunità diplomatica. É arrivato al punto, lo svergognato, di manifestare il sospetto che il congelamento dei suoi conti fosse da ricondurre a interventi dei servizi segreti belgi su pressione dell’inquilina di Palazzo Berlaymont. In conclusione ha disegnato, e fatto circolare, una sorta di mappa della indistruttibile ragnatela in cui alcune entità (da Word Economic Forum alla fondazione Bill & Melinda Gates per menzionare solo le più celebri e coccolate dai media), hanno già in buona parte e séguitano a costringere il mondo occidentale in una logica di globalizzazione non solo economica ma anche di potere attraversovere e proprie Kulturkampf come l’ideologia green e del controllo digitale universale, della guerra al “sovranismo”, al denaro contante eccetera eccetera).
Di fronte a simili manifestazioni di ribalderia che altro potevano fare i media, più o meno mainstream, se non raccogliersi in un silenzio raccapricciato al cospetto di simili enormità (e si può anche capire, lo scrivo en passant, che nel clima determinato dall’inquietante iniziativa di Baldan il Corriere, in un eccesso di zelo, abbia preferito sorvolare ieri sulla notizia della lettera molto polemica dei partiti di maggioranza dell’UE alla presidente della CE, che potrebbe avere sviluppi non auspicabili).
Però, a mio umile avviso, bene avrebbero fatto i competenti servizi di Bruxelles a fare tutto il rumore possibile, a forza di smentite e querele, non solo e non tanto per difendere l’onorabilità della CE che ovviamente non ne ha bisogno, quanto per evitare che l’impenetrabile coltre di silenzio che copre l’iniziativa dell’editore Guerrini & Associati (la casa editrice che ha pubblicato l’edizione italiana del libro) possa essere interpretata, da qualche esprit maltourné, addirittura come una conferma della fondatezza del racconto di Baldan.
E poi non bisogna sottovalutare la scaramanzia: la vicenda di Nigel Farage non è finita benissimo per i custodi dell’ordine globale.





