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Giorgetti

Il leader di partito più sbrindellato? Giuseppe Conte

Che cosa emerge sul leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, dai primi voti in Parlamento sul Quirinale

 

Dopo quattro scrutini infruttuosi sul presidente della Repubblica, compreso quindi quello più atteso – l’ultimo- per i 505 voti necessari all’elezione con la maggioranza assoluta, anziché i 672 della maggioranza dei due terzi richiesti per i primi tre, la gara politica fra i partiti e i rispettivi gruppi parlamentari, presi singolarmente o come coalizioni, si è rovesciata.

La cosa da capire adesso non è chi controlla di più la propria parte, e in un certo verso, la situazione complessiva ma chi la controlla di meno. Ed è quindi l’interlocutore più inaffidabile nella girandola degli incontri e altri tipi di contatti che si inseguono alla ricerca di un accordo da sottoporre poi alla verifica dei cosiddetti grandi elettori, cioè dei deputati, senatori e delegati regionali dai quali dipende l’elezione del capo dello Stato, al netto naturalmente dei franchi tiratori. Che hanno sempre avuto nelle corse al Quirinale la penultima parola, prima di risultare irrilevanti grazie all’ampiezza degli accordi fra i partiti o alla stanchezza persino fisica o ambientale dei dissidenti.

Con Giuseppe Saragat nel 1964 e con Giovanni Leone sette anni dopo, nel 1971, più che all’uno e all’altro i franchi tiratori si arresero, rispettivamente, alle feste di Capodanno e di Natale. Il cui rispetto era reclamato dai familiari più che la disciplina dai partiti di appartenenza. Ma va detto anche che Saragat al quarto scrutinio su di lui, ventunesimo dell’intera sessione, si era garantita una specie di polizza di assicurazione trattando l’appoggio dei comunisti, al di là quindi della maggioranza di centrosinistra con cui era sceso in campo.

In questa edizione della corsa al Quirinale il “premio” della inaffidabilità, intesa come incapacità di controllare il proprio campo, se l’è spontaneamente aggiudicato il presidente del MoVimento ancora maggioritario 5 Stelle Giuseppe Conte, peraltro neppure parlamentare né delegato regionale. Egli ha fatto comunicare dal portavoce durante lo scrutinio di ieri il carattere non vincolante della pratica della scheda bianca adottata a parole lunedì scorso e via via confermata nei giorni successivi.

E’ stato un annuncio,, quello della libertà di coscienza lasciata ai grandi elettori pentastellati, pateticamente tardivo essendosela gli interessati giù presa abbondantemente. Essi hanno contribuito in buona parte ai 16 voti andati a Mattarella nel primo scrutinio, diventati 39 nel secondo e 125 nel terzo. Nel quarto sono saliti ulteriormente a 166, a dispetto delle notizie, foto e riprese televisive diffuse o promosse dal Quirinale per dimostrare il trasloco nel quale è già impegnato il presidente uscente della Repubblica, fra scatole e altri imballaggi spediti anche dalla sua casa di Palermo all’appartamento di Roma preso in affitto a poca distanza dagli alloggi dei figli.

Segno che Mattarella rimarrà indisponibile ad una conferma, anche a costo di contribuire di fatto all’indebolimento del governo derivante dagli ostacoli frapposti da varie direzioni ad una elezione di Mario Draghi a capo dello Stato? Vedremo.

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