Avevamo fondati motivi, qui esposti in dettaglio, per sospettare che la Ue e questa Commissione ci stiano portando a sbattere violentemente contro un muro, pur di mettere le mani sugli asset finanziari russi, utilizzandoli per un prestito all’Ucraina.
Ma, dopo aver letto l’articolo in bella evidenza sul Financial Times di sabato, si può serenamente concludere che non sono più cauti sospetti ma consolidate certezze.
A partire dal titolo, che mette subito le cose in chiaro: «Il piano UE di sfruttare gli asset russi congelati rischia di minare l’euro, è l’avvertimento degli analisti».
In sintesi, si sostiene che il controverso piano della Commissione Europea di usare gli asset sovrani russi congelati (210 miliardi, principalmente a Euroclear in Belgio) come garanzia per prestiti fino a 210 miliardi all’Ucraina stia spingendo al limite il quadro politico e legale dell’UE. L’ovvia conseguenza è che alcuni gestori di fondi hanno dichiarato al FT che l’operazione potrebbe aumentare i rischi politici di detenere asset in euro, mettendo in discussione il loro status di bene rifugio globale. Che è poi il motivo per cui la Commissione gira intorno a questa folle idea da 4 anni, senza riuscire a cavarne un ragno dal buco.
La struttura dell’operazione proposta dalla Commissione prevede che «L’UE prenderebbe in prestito denaro da Euroclear e lo presterebbe a Kyiv a tasso zero; l’Ucraina ripagherebbe solo dopo che la Russia avrà versato riparazioni post-belliche, con gli asset congelati come collaterale». Lasciamo valutare al lettore la probabilità di questo evento. Da qui la conseguenza, simile alla deflagrazione di una bomba atomica: «un utilizzo degli asset russi potrebbe rendere i gestori di riserve delle banche centrali e altri investitori in asset a basso rischio più esitanti nel detenere asset in euro, se questi apparissero più vulnerabili a sanzioni e tensioni geopolitiche». Sarebbe come varcare una, finora invalicabile linea rossa, perché, una volta fatto, ogni scusa sarebbe buona per rifarlo. Oggi la guerra, domani qualche altra “nobile” causa, nessuna attività finanziaria sarebbe più al sicuro, neanche se appartenente all’inviolabile circuito delle banche centrali.
L’effetto immediato sarebbe un indebolimento dell’euro, poiché «l’euro rappresenta il 20% delle riserve valutarie globali delle banche centrali, contro il 58% del dollaro; i policymaker spingono per un ruolo più prominente dell’euro, ma l’accesso agli asset russi potrebbe innescare una svalutazione simile a quella subita dal dollaro negli ultimi anni».
In particolare, le preoccupazioni degli investitori si concentrano sul «rischio è di una svalutazione del tipo subito dal dollaro, con sanzioni USA e politiche economiche dell’amministrazione Trump che hanno spinto alcuni a ridurre l’esposizione al biglietto verde».
Se sul piano degli effetti finanziari i dubbi e i rischi non mancano, la strategia legale adottata dalla Commissione per bloccare indefinitamente gli asset fa acqua da tutte le parti, perché lo stratagemma legale (articolo 122 dei Trattati) proposto dalla Commissione per immobilizzare indefinitamente le sanzioni che congelano gli asset dal 2022, per impedire a Mosca di rimpatriare il denaro prima di pagare le riparazioni, è un piano che tuttora divide i giuristi, anche della Commissione, e rischia di subire contestazioni nei tribunali Ue, come già annunciato dal premier ungherese Viktor Orban.
…E il capitano disse al mozzo di bordo,
“Signor mozzo, io non vedo niente”,
C’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole,
Andiamo avanti tranquillamente…
Ci perdonerà Francesco De Gregori se prendiamo in prestito queste parole con cui termina “i muscoli del capitano” (album Titanic), per descrivere la sicumera con cui Ursula von der Leyen ci sta portando a sbattere.






