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Btp Italia: numeri, record e festeggiamenti (eccessivi)

Grande soddisfazione è stata espressa per la riuscita dell’asta per i Btp Italia. Ma è bene non esagerare. Ecco perché. L'analisi di Gianfranco Polillo

Grande soddisfazione è stata espressa per la riuscita dell’asta per i Btp Italia. In effetti gli incassi per il Tesoro sono stati consistenti: 22,3 miliardi di euro. I cosiddetti Retail – piccoli e medi risparmiatori – hanno investito per 14 miliardi: circa 37 mila euro pro-capite. Mentre gli Istituzionali – ossia i vari professionisti del risparmio – 8,3. Con uno scarto evidente che la dice lunga sulle caratteristiche dell’operazione. Anche se il successo appare notevole, specie se si comparano i dati con i precedenti. Nel novembre del 2013, il Tesoro su un titolo avente più o meno le stesse caratteristiche aveva raccolto i 22,27 miliardi. Quel tantino in meno che consente, ora, di gridare ad un nuovo record storico, nel panorama di una kermesse lanciata nel 2012 e giunta, ormai, alla sedicesima edizione.

E’ il caso di brindare? Andiamoci piano. Nobile ovviamente l’intenzione: finanziare parte delle spese sostenute nella lotta contro il Covid-19. Ma, per dirla tutta e senza voler urtare la suscettibilità di nessun volenteroso alla ricerca di una buona azione, va detto che il finanziamento del Mes, per gli stessi obiettivi, sarebbe costato molto meno. Un tasso d’interesse prossimo allo zero per 10 anni, contro l’1,4 per cento annuo dei Btp Italia, indicizzato all’inflazione e con un premio fedeltà pari allo 0,8 per mille. Certo molto di più rispetto all’edizione dell’ottobre 2019: cedola allo 0,65 per cento, premio di fedeltà pari allo 0,4 per mille, scadenza più lunga al 2027. Ma solo perché nel frattempo le condizioni del mercato sono cambiate.

Comunque sia, la sua caratteristica principale è una sorta d’assicurazione. Se vi sarà inflazione, il risparmiatore sarà protetto da un paracadute. Se i prezzi scenderanno, nella morsa della deflazione, non vi sarà alcuna perdita di capitale, ma un ulteriore guadagno rispetto alla frenata dei prezzi degli altri prodotti. Il vero vantaggio per chi ha sottoscritto: considerato che la differenza con titoli aventi analoga scadenza è pari a poco più di 20 punti base. Distanza che spiega una certa tiepidezza (il minimo sindacale, come è stato detto) degli investitori istituzionali. E legittima il dubbio che, forse, si poteva fare di più. Non tanto intervenendo sui contorni finanziari dell’operazione; quanto cambiandone l’architettura al fine di evitare di creare fenomeni di segmentazione del mercato. Vale a dire la compresenza di titoli senior e titoli junior.

Comunque sia, l’adesione c’è stata. Va quindi, in qualche modo, compresa. L’idea di offrire un proprio specifico contributo alla soluzione dei gravi problemi del Paese è stata una componente importante. Che va valorizzata. Dimostra, ancora una volta, che gli italiani sono molto migliori di come certe malelingue vorrebbero dipingerli. Ma per evitare inutili ed eccessivi incensamenti va subito aggiunto che le condizioni finanziarie del Paese sono tali da rendere attrattivo quell’impegno. Considerato lo stato dei depositi bancari: spesso più una preoccupazione che non un possibile vantaggio.

Se questo vale sul fronte interno, ben diverso sembra essere, invece, il sentiment che anima gli investitori fuori dai confini nazionali. Nel mese di marzo i disinvestimenti esteri in Btp sono stati pari a 51,4 miliardi, pari a circa il 6,5 per cento del patrimonio (più o meno 800 miliardi) complessivo. Qualcosa di simile (56 miliardi) si era verificato solo tra la fine di maggio e gli inizi di giugno del 2008. L’avvio del presunto o reale “complotto” contro l’ultimo Governo democraticamente eletto dagli italiani. A differenza di quella complicata stagione, va tuttavia ricordato che una parte di quel disinvestimento è stato anche conseguenza dei rimborsi netti (22 miliardi) da parte del Tesoro.

Ma purtroppo l’estero non si è limitato a vendere solo Btp. L’offerta si estesa ai titoli privati per un valore di circa 9,6 miliardi e alle obbligazioni bancarie per 2,6. Un piccolo diluvio, in definitiva, che ha portato il saldo debitorio Target 2 – che misura appunto l’uscita cash dall’Italia – a 106,9 miliardi. Che è il valore più in alto in assoluto, da quando sono pubblicati i relativi dati. Per avere un’idea dello scarto, ma anche delle preoccupazioni che ne accompagnano il fenomeno, si consideri che il precedente picco negativo, pari tuttavia a soli 76,3 miliardi, si era verificato nel marzo del 2008.

Che le finanze pubbliche italiane siano sotto stress non è, pertanto, un mistero. Per fortuna la Bce continua a garantire un minimo di tenuta, acquistando i titoli italiani sul mercato secondario. Se non vi fosse questo paracadute sarebbero guai. Certo l’alternativa, fuori dall’euro, sarebbe la monetizzazione del debito. Il ritorno agli anni ’70. Quando il susseguirsi di inflazione e di svalutazione aveva introdotto una frattura profonda negli equilibri sociali del Paese. Ponendo una difesa – la scala mobile oltre il 100 per cento di indicizzazione – a vantaggio prevalente dei settori politicamente più forti – i dipendenti delle medie e grandi aziende – anche a costo di determinare un generale appiattimento retributivo. In grado di negare, al tempo stesso, meriti e bisogni di coloro, ch’erano collocati al di fuori del perimetro dei settori protetti. Un’esperienza da non ripetere.

C’è poi un’ulteriore spia luminosa che non lascia tranquilli. Per far fronte alle continue richieste finanziarie, il Tesoro ha dovuto accentuare il drenaggio di tesoreria nei confronti della Banca d’Italia. Le consistenze residue in un solo mese (febbraio-marzo) hanno subito una caduta di oltre 43 miliardi. Passando da 73,3 a 30,1 miliardi. Un’anomalia evidente, se si considera che, in generale questi sono i valori tipici di fine anno e che solo nel settembre del 2011 si toccò una soglia così allarmante. Quei 22,3 miliardi, appena raccolti con i Btp Italia, consentiranno, pertanto, una piccola boccata d’ossigeno. Anche se, non dovessero servire per far fronte alle minacce del Covid.

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