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Theresa May

Vi spiego le tribolazioni di May sulla Brexit

L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

Un fantasma, la Brexit, si aggira a Westminster. Il recesso dall’Unione europea fu deciso nel giugno del 2016 con un referendum popolare, vinto di stratta misura, quando in alternativa c’erano le misure contrattate con Bruxelles dal Premier conservatore David Cameron su una serie di questioni controverse, tra cui quella del welfare da erogare agli europei che si trasferivano in Gran Bretagna alla ricerca di lavoro, spinti dalla crisi violentissima di quegli anni.
Nessuno ha voglia di ricordare perché e su quali argomenti Cameron rimase isolato nel novembre del 2011, quando i 26 Paesi dell’Unione decisero di procedere al rafforzamento dell’Eurozona, varando quella strategia di riforme che è sfociata nel Fiscal Compact, nella Banking Unione e nella istituzione dell’Esm.

L’Unione Europea si era ristretta ai soli Paesi aderenti all’euro: tutto doveva essere fatto per salvare le sue creature innaturali, una moneta senza Stato e gli Stati senza moneta. Era folle la sola idea che Londra potesse aderire ad una riforma dei Trattati, che richiede l’unanimità, solo per salvare l’euro dalla dissoluzione. E che potesse accettare la vigilanza delle sue banche accentrata presso Francoforte, e per di più tassare i propri contribuenti per salvare le banche spagnole dal default per essersi indebitate senza limiti con quelle francesi e tedesche.

Tutti questi temi, oggi, non vengono neppure ricordati: si parla solo del mercato interno europeo, della Unione doganale, e non per caso: a tutti fa comodo vendere a tutto spiano all’Inghilterra, che ha ancora un disavanzo strutturale del commercio con l’estero che si specchia con l’avanzo tedesco: 50 miliardi di euro l’anno. Nel 2017 è stato pari al 3,)% del pil, mentre l’anno precedente era stato del 5,2%: sono somme stratosferiche, insostenibili. Per non parlare della posizione finanziaria netta sull’estero della Gran Bretagna, che è pari al -8,1% del pil, quando nel 2012 arrivava ad un funesto -28%.

Il tema degli squilibri strutturali è stato messo da parte, ma senza il loro riassorbimento le crisi finanziarie non possono che riproporsi ciclicamente, sempre più devastanti. L’Europa non ne vuole sentire parlare, perché vive e prospera sugli squilibri.

La storia si ripete, implacabile: Theresa May fu catapultata alla guida del governo britannico a seguito delle dimissioni di Cameron che aveva scommesso sulla approvazione al referendum delle intese che aveva raggiunto a Bruxelles. Così come gli accordi raggiunti da Cameron non furono condivisi dal referendum, ora sono le intese raggiunte dalla May con il negoziatore europeo Michel Barnier ad essere messe sotto accusa: perché è stata creata una sorta di gabbia, il mercato interno europeo e la Unione doganale, da cui è impossibile uscire. Non poteva essere diversamente, perché ciò che interessa all’Unione è poter vendere al pingue mercato britannico. Non è una Unione di Stati, l’Europa, meno che mai di popoli, ma solo un sistema di vasi economici comunicanti. Per questo a Bruxelles si gongola: la Gran Bretagna è stata messa alle strette, strumentalizzandone l’assetto costituzionale secondo cui non debbono esservi frontiere fisiche che dividano le due parti dell’Irlanda. Tutto il negoziato doveva dimostrare un solo assunto: dall’Unione non si esce, per nessun motivo. Una trappola economica, politica ed istituzionale, più che una costruzione democratica che accomuna i popoli. L’economia e le sue ragioni prevalgono su tutto, ad ogni costo.

Il prossimo 11 dicembre, martedì della settimana ventura, a Westminster ci sarà il voto finale, “significativo”, sulla proposta elaborata tra la May e Barnier. Ma la Premier è già stata battuta due volte: per “oltraggio al Parlamento”, non avendo voluto trasmettere nella sua interezza il rapporto legale elaborato dal Consulente legale del governo; per aver dovuto accettare che sui seguiti dell’Accordo dovrà decidere in primo luogo il Parlamento inglese. C’è chi spera in un nuovo referendum, che ribalti la decisione favorevole alla Brexit.

L’Unione è irreversibile, questo è l’assunto: al di fuori, c’è solo l’inferno della libertà. Questo è il fantasma che si aggira a Westminster.

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