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Giorgetti

Vi racconto crucci e sbuffi di Conte

Calenda svela la risposta negativa ricevuta da Arcuri, nominato da Conte commissario all'emergenza dispositivi di protezione. I Graffi di Damato

So che sto per scrivere qualcosa di facilmente e sgradevolmente equivocabile, di una ironia troppo spinta in un periodo tragico come questo intestabile al coronavirus: una ironia troppo confinante, se non simile, a quella che ho personalmente contestato tante volte a colleghi che odiano l’uso della frizione o dei freni.

Pur consapevole del terreno scivoloso su cui sto avventurandomi, non riesco a trattenermi dallo sfottò che si è involontariamente guadagnato Giuseppe Conte con la pur meritevole e sentita partecipazione al lutto dei familiari di un validisssimo uomo della sua scorta: Giorgio Guastamacchia. Che, gigante già di suo con quel fisico che aveva e con le arti marziali che aveva esercitato, e forse ancora esercitava nel suo tempo libero, è morto a 52 anni neppure compiuti, lasciando due figli e la moglie, per essersi contagiato del coronavirus chissà dove.

Di casa ormai a Palazzo Chigi per avere fatto la scorta anche agli ultimi tre predecessori di Conte, cioè Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, senza contare altri leader politici solo affacciatisi in quel palazzo in veste di vice presidente del Consiglio come Marco Follini, il compianto Guastamacchia è stato ricordato da Conte non solo per lo zelo che metteva nel suo mestiere di “angelo custode” del capo del governo, ma anche per “i suoi sorrisi ravvivati da un chiaro di filo di ironia”.

Non so, francamente, se avesse ceduto all’ironia anche con i predecessori di Conte, come ho sospettato leggendone il ricordo della vedova in una intervista piena di dignità e di orgoglio per la fortuna avuta di dividere una parte della sua vita con un uomo del genere, ma lasciatemi dire che l’ironia se l’è meritata in modo particolare l’attuale presidente del Consiglio. Di cui non sarà sfuggita a Guastamacchia, di buon umore già di suo, una certa improvvisazione. I suoi sponsorizzatori politici, cioè i grillini, si erano d’altronde limitati nella campagna elettorale del 2018 a immaginarlo, e proporlo anzitempo al Quirinale in una lista inusualmente consegnata al Segretario Generale, solo come ministro della Funzione Pubblica o, come si diceva una volta, della Riforma Burocratica, con tutte le maiuscole — ma solo le maiuscole — al loro posto, viste le missioni sostanzialmente incompiute dei vari titolari di quel dicastero.

Non credo di mancare di rispetto personale a Conte lamentandone, come ho già fatto altre volte, i limiti tutti politici dell’esperienza a Palazzo Chigi, sempre a capo di maggioranze troppo composite e affrettate per risultare  idonee alla gravità dei problemi del Paese, prima ancora che diventassero drammatici come in questo periodo di epidemia, anzi di pandemia. Occorrerebbe un “governissimo” davvero, da unità nazionale come quelli degasperiani successivi alla seconda guerra mondiale.  Ma la ciliegina sulla torta dell’inadeguatezza dell’attuale esecutivo penso che l’abbia appena messa l’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda rivelando, peraltro all’insospettabile Fatto Quotidiano, la fine fatta dalla disponibilità da lui offerta a collaborare col commissario della Protezione Civile Domenico Arcuri nel campo dirimente degli “approvvigionamenti” sanitari, mascherine comprese: quelle vere, non di carta igienica.

“Mi è stato detto che sarebbe stato un problema politico, e amen”, ha raccontato Calenda. Non ditelo, per favore, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che con tutti i capelli che ha, rimasto com’è senza barbiere in questo periodo di domicilio coatto pure per lui, se li strapperebbe tutti per la delusione, anzi per la rabbia, pur non consona al suo mite temperamento.

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