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Italia Libia

Turchia ed Egitto provano a spartirsi la Libia?

La Turchia aiuta militarmente Sarraj a scacciare Haftar e l'Egitto si inserisce nelle trattative per il futuro di Tripoli e non solo. Tutte le ultime novità in Libia (e i riflessi energetici e geopolitici) nell'approfondimento di Giuseppe Gagliano

Partiamo come di consueto dai fatti recenti relativi al teatro libico. Il Gna, guidato da Al-Sarraj, è stato in grado di riconquistare la città di Bani Walid, che geograficamente è collocata a sud-est di Tripoli.

Stando alle informazioni dei media arabi questa riconquista è stata possibile grazie al fatto che le milizie del Gna sono riuscite ad entrare nella città senza usare la forza militare poiché vi è stata da parte delle autorità locali la massima cooperazione per evitare inutili stragi.

Quanto alle forze del generale Haftar queste avevano già abbandonato la città prima dell’arrivo del Gna.

Questo successo va ad aggiungersi alla riconquista della città di Tarhuna sita a 95 km dalla capitale libica che costituiva uno snodo strategico fondamentale da parte delle forze dell’Lna.

L’obiettivo a breve termine, sotto il profilo strategico, delle forze del GNA non potrà che essere la riconquista di Sirte o più esattamente della città portuale di Sirte ubicata proprio al centro del golfo della città costiera a 450 km ad Est della capitale Tripoli, snodo strategico fra Tripolitania e Cirenaica.

Alla luce di questi recenti sviluppi di natura militare il fatto che il 2 giugno i rappresentanti dei governi di Tripoli e di Tobruk abbiano accettato di riprendere i colloqui sotto il coordinamento dell’Onu, con lo scopo di raggiungere una tregua in Libia, appare una iniziativa assolutamente velleitaria tanto quanto la risoluzione da parte dell’Onu del 5 giugno in merito alla possibilità di autorizzare l’ispezione di imbarcazioni sospettate di violare l’embargo alle armi.

A tale proposito, anche se alla missione denominata Irini hanno aderito circa 20 paesi dell’Unione europea supportati anche dal Centro satellitare dell’Unione Europea, concretamente il monitoraggio si rivela puramente illusorio come dimostra il fatto che nel porto di Misurata è arrivata una nave proveniente da Istanbul con un carico di carriarmati M-60 in dotazione dell’esercito turco. Carri armati che naturalmente diventeranno indispensabili per condurre una offensiva di terra da parte del Gna in stretto coordinamento sia con i consiglieri militari turchi che con i mercenari siriani.

Infatti il colloquio recente tra Erdogan e Al-Serraj dimostra la linearità e la coerenza politico-strategica di Ankara che ha non solo lo scopo di avere un ruolo di primo piano nella ricostruzione libica, ma soprattutto intende porre in essere le operazioni di esplorazione e perforazione nel Mediterraneo orientale oggetto di una disputa durissima con Cipro e la Grecia sotto il profilo giuridico e diplomatico.

Non a caso il Gna ha dato il via libera alla Turkish Petroleum Company (Tpao) di effettuare prospezioni petrolifere nella propria zona economica esclusiva, autorizzazione questa che costituisce la diretta conseguenza dell’accordo sulla determinazione delle Zee reciproche siglato lo scorso anno tra Tripoli e Ankara.

Proprio a tale scopo non solo la Turchia ha rafforzato la proprio proiezione di potenza sotto il profilo della Marina militare ma ha rafforzato altresì il suo dispositivo militare in stretta collaborazione con il Qatar come indicato in un articolo precedente.

Veniamo adesso alle recenti dichiarazioni di Al-Sisi. Il 6 giugno infatti il presidente egiziano ha annunciato il piano del Cairo – denominato iniziativa del Cairo – per un cessate il fuoco in Libia, a partire dall’8 giugno, dopo un incontro tripartito con il comandante dell’esercito nazionale libico (Lna) Khalifa Haftar. Al di là delle dichiarazioni di pacificazione espresse da parte di Al-Sisi in relazione alla necessità di arrivare ad una soluzione politica è evidente la volontà politica egiziana di riprendere il controllo della situazione libica per porre essere una equa spartizione in zone di influenze della Libia che tutelino i propri interessi.

Ebbene il piano proposto congiuntamente da Al-Sisi e Al-Serraj – piano che prevede fra l’altro che tutte le parti rimuovano i mercenari stranieri a livello nazionale, lo smantellamento delle milizie, un’equa rappresentanza di tutte e tre le regioni della Libia nella costituzione di un consiglio presidenziale eletto dal popolo libico sotto la supervisione delle Nazioni Unite, che ogni regione dovrebbe formare un collegio elettorale i cui membri dovrebbero essere scelti dalla Camera dei Rappresentanti e dallo stato libico insieme agli anziani e ai notabili tribali, tenendo conto della rappresentazione delle donne e dei giovani con la supervisione dell’Onu, coordinamento necessario anche per monitorare l’integrità del processo elettorale per la selezione dei candidati al Consiglio presidenziale – appare un progetto vago ed insieme velleitario che prelude a una instabilità permanente dello scacchiere libico.

Ad ogni modo dovrebbe essere interesse del nostro paese – sia per tutelare i propri interessi petroliferi che per contenere l’immigrazione – prendere parte alla spartizione in zone di influenze. Ma, valutando con lucidità la postura posta in essere dal nostro paese fino a questo momento sul teatro libico, è assai verosimile che l’Italia venga sempre di più emarginata dalla Libia.

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