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Perché gli Stati Uniti di Biden hanno bombardato in Siria contro l’Iran

Biden ha voluto avvertire Teheran che, in caso di ulteriori attacchi “per procura”, gli Usa reagiranno su tutti gli obiettivi in qualche modo collegati a Teheran. E il messaggio è diretto anche all’interno degli Usa: “Avete un presidente che è pronto a usare anche la forza per proteggere gli interessi americani”. L'analisi di Carlo Jean

 

Venerdì mattina aerei americani hanno bombardato nella Siria orientale, nei pressi del confine con l’Iraq, milizie sciite legate all’Iran, in rappresaglia contro gli attacchi che milizie sciite irachene, sempre legate a Teheran, avevano effettuato il 15 febbraio a Erbil, nel Kurdistan iracheno. In tali attacchi era morto un contractor USA e ferita una quindicina di altri, oltre a un soldato americano.

Il bombardamento americano in Siria avrebbe provocato la morte di oltre una quindicina di miliziani, fatto che il Pentagono ha definito una “rappresaglia proporzionale e limitata”. La notizia del bombardamento sarebbe passata sotto silenzio, malgrado le proteste “d’obbligo” dei governi russo e siriano, se non si fosse trattato della prima volta che Biden autorizzava l’uso della forza e, nel caso particolare, dell’impatto che esso potrà avere sulla situazione in Medio Oriente.

La tradizionale politica americana d’impegno nell’area è stata modificata da due fatti. Primo, dalla shale revolution, che ha svincolato la dipendenza energetica USA dal Medio Oriente, provocandone un parziale disimpegno strategico. Secondo, l’intenzione di Biden di ripristinare la partecipazione USA al Patto Nucleare con l’Iran e di adottare una politica più centrata sui diritti umani, annullando l’eccessivo allineamento di Trump con l’Arabia Saudita.

Mentre la prima ragione rimane inalterata, la seconda sta incontrando difficoltà, soprattutto nel Congresso e nel Senato degli USA. Essi pretendono che la fine delle sanzioni a Teheran e il rientro degli USA nel Trattato siano accompagnati da ulteriori misure, che proteggano il Golfo dall’aggressività iraniana, sostenuta dalle milizie sciite irachene, siriane e libanesi. I radicali iraniani si oppongono a tali misure e possono contare su larga parte della patriottica popolazione iraniana. I propositi di Biden di riprendere i negoziati con gli Ayatollah sono in fase di stallo.

Questo forse spiega l’espressione di “rappresaglia proporzionata” usata dal Pentagono. Di fatto, almeno in termine di perdite, proporzionata non è stata. Il principale timore di Biden è quello di sembrare troppo soft.

Non ha voluto reagire tanto agli attacchi in Iraq, ma lanciare un ammonimento a Teheran, “mostrando i muscoli” e dicendogli di non sperare di ammorbidire gli USA e di indurli a concessioni, attaccando le loro forze. E’ la classica manovra dell’“escalation to des-escalete” utilizzata nei preliminari di ogni negoziato per aumentare le proprie bargaining chips.

Interessante, al riguardo, è anche il fatto che la rappresaglia USA per attacchi subiti in Iraq sia avvenuta in Siria e che abbia avuto come obiettivi due gruppi di miliziani sciiti (Katib Hezbollah e Katib Sayyid al-Shubada) diversi da quelli che si erano dichiarati responsabili dell’attacco a Erbil. La risposta al primo interrogativo è chiara. Gli USA hanno avvertito Bagdad della rappresaglia con tre giorni di anticipo (Mosca con soli 4-5 minuti!), ottenendone parere favorevole o, almeno, non contrario. Hanno ancora in Iraq 2.500 soldati (1.000 in Siria). Vogliono mantenerli nel paese anche se un referendum popolare ne ha chiesto il completo ritiro. La risposta al secondo interrogativo deve essere più articolata.

Ufficialmente, il Pentagono sostiene che i nomi delle milizie che si erano dichiarate responsabili per Erbil erano falsi. In realtà penso che gli USA abbiano voluto avvertire Teheran che, in caso di ulteriori attacchi “per procura”, gli USA reagiranno su tutti gli obiettivi in qualche modo collegati a Teheran. Beninteso, il messaggio è diretto anche all’interno degli USA: “Avete un presidente che non è un debole, ma che è pronto a usare anche la forza per proteggere gli interessi americani”.

Insomma, l’America is back non solo a chiacchiere, ma con i suoi bombardieri e le sue portaerei.

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