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Quarto Servizio Segreto

Perché non serve un quarto servizio segreto contro le scalate estere

Un quarto ramo dei Servizi segreti? No grazie. Meglio ripristinare il comitato che fu istituito da Frattini e Tremonti. Oppure studiare il modello Usa del Cfius. I veri problemi sono altri. Ecco quali

Fonti stampa hanno riportato il progetto del governo di accrescere i poteri di tutela di settori nazionali sensibili estendendo la golden power ai settori sanitario ed alimentare, anche verso altri Paesi europei. La spinta del governo nell’attuare queste misure deriva anche dalla pregevole attività del Copasir, orfano di un’Autorità delegata con cui interloquire.

Nei confronti di questa lodevole iniziativa vanno posti dei caveat in merito alle modalità scelte dal Governo.

A giustificazione di tale aggiornamento della normativa, infatti, viene posta la “debolezza del governo di fronte ad investitori stranieri”. Questo concetto è lontano dalla realtà. Non esiste, infatti, esposizione ad interessi stranieri che non sia politicamente (ed in seconda analisi, normativamente) in qualche modo ostacolabile.

Un negoziato che prevede un investimento è sempre un gioco bilaterale in cui ogni governo ha leve da esercitare, prevalentemente politiche, che gli consentono di rispondere trasversalmente, bloccando, (direttamente o indirettamente), ogni operazione non desiderata, o negoziando costi e benefici con il potenziale investitore e con il suo paese di riferimento.

Proprio perché la definizione di un investimento in un settore strategico è un ambito esclusivamente di negoziato politico (con stakeholder spesso di elevato livello), l’idea di esercitare l’esercizio di poteri speciali avvalendosi di strumenti di intelligence economica può essere dannosa se riferita agli strumenti classici dell’intelligence (come, invece, emerge dall’articolo).

Le fonti stampa considerate prospettano la creazione di un ennesimo servizio di intelligence dedicato all’informazione strategica e alla sicurezza economica sul modello francese (molto distante da quello italiano), il quale delegittimerebbe l’alacre attività degli attuali servizi di intelligence, sottraendo forze esistenti all’attività estenuante compiuta dal nostro law enforcement finanziario nei settori sensibili dell’evasione fiscale e della criminalità finanziaria.

Il danno di una raccolta clandestina di informazioni (se questo è ciò che si intende considerato che siamo in una fase di processo alle intenzioni) può riferirsi non solo all’operazione stessa, ma anche nei confronti dei rapporti bilaterali con il governo a cui fa riferimento il potenziale investitore.

Esistono enti preposti per la realizzazione di due diligence, palese ed occulta, in primis la Consob parlando di società quotate. L’intelligence, peraltro, già fornisce (in maniera pregevole, se opportunamente calibrata) da tempo supporto anche in materia economico-finanziaria, pur con tutte le difficoltà legate alla complessità della materia (l’Ammiraglio Gianfranco Battelli, nella sua funzione di Direttore del SISMI, definì l’intelligence economica come “studiare il sesso degli angeli”).

Ogni investimento finanziario ha un fine politico ed economico che si inserisce in quadro strategico. L’aspetto economico-finanziario è solo una fase terminale che va affidata ai manager delle aziende che studiano l’operazione, i quali hanno a loro disposizione intelligence aziendali.

La soluzione, come sempre, è già in casa.

Per studiare come gestire e procedere relativamente ad un’operazione di investimento straniero in Italia, nel 2009 fu costituito dall’allora Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, e dall’allora Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, il c.d. “Comitato Strategico per lo Sviluppo e la Tutela all’Estero degli Interessi Nazionali in Economia”, istituito dall’articolo 83, comma 25, L. 6 agosto 2008, n. 133, per riunire in un unico, ristretto consesso un numero (variabile) di stakeholders facenti riferimento al governo, all’industria investita dall’investimento, e alle aziende coinvolte, per valutare (strategicamente) i pro e contro dell’investimento stesso.

Poiché ad ogni investimento finanziario deve sempre corrispondere un negoziato politico che garantisca reciprocità, al suddetto Comitato potrebbe anche affiancarsi (o integrarsi) un’ipotesi di organismo simile al CFIUS (Committee on Foreign Investment in the United States) statunitense.

Il CFIUS è un organismo il cui operato (dal 1975) è diretto al contenimento di minacce alla sicurezza nazionale insite in investimenti esteri diretti stranieri negli Stati Uniti, così come alla raccolta di intelligence dedicata a fenomeni di natura economica. La sua composizione è governativa riunendo membri dell’Amministrazione presidenziale. Un simile meccanismo governativo potrebbe, dunque, essere equivalente ad una versione modificata del nostro CISR (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica).

Mettere in sicurezza le filiere produttive è una priorità delle associazioni di categoria e dei dicasteri specializzati. Aumentiamo l’efficienza di ciò che è esistente.

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