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Gervaso Montanelli

Il mio ricordo di Roberto Gervaso. Firmato: Francesco Damato

"All’arrivo come direttore al Giorno, nel 1989, proposi a Roberto un appuntamento fisso settimanale in quella che era o si chiamava una volta la “terza pagina”, della cultura. Provocai una rivolta della redazione...". Francesco Damato ricorda Roberto Gervaso

 

Di Roberto Gervaso, morto sulla soglia degli 83 anni, che avrebbe compiuto il mese prossimo, avevo un po’ perso le tracce negli ultimi anni, leggendone solo ogni tanto gli articoli, sempre col solito divertimento. Eppure avevamo avuto una lunga, intensa frequentazione.

Ero stato un ospite frequente dei pranzi e delle cene che Roberto e la moglie organizzavano negli anni Settanta convocando nella loro casa, a due passi da Piazza del Popolo, uomini allora saldamente al potere, come Giulio Andreotti o Antonio Bisaglia, e altri che vi sarebbero arrivati molto tempo dopo, come Silvio Berlusconi.

Alla nascita del Giornale fondato e diretto dal suo amico Indro Montanelli, col quale egli aveva anche scritto alcuni libri della fortunata serie della storia d’Italia, feci una fatica immane e inutile per convincere lo stesso Montanelli ad assumerlo. E lo feci anche su sollecitazione della mamma di Montanelli, che voleva bene a Gervaso e non si capacitava neppure lei delle resistenze del figlio. Del quale ebbi a un certo punto l’impressione che non gli piacesse lo spazio che sotto sotto Roberto lasciava alle voci che gli assomigliasse perché suo figlio segreto.

Quando sopraggiunse lo “scandalo” della P2, cui Roberto era stato iscritto dall’amico Licio Gelli, e cui aveva anche cercato di arruolare amici, inconsapevole come loro dei risvolti affaristici e, secondo alcuni, persino golpisti di quella loggia massonica, Montanelli fu con lui severissimo, pur riconoscendo che si dicevano e si scrivevano di quella faccenda troppe “baggianate”. D’altronde, anche Montanelli aveva avuto modo di incontrare Gelli, e di ottenerne l’aiuto a trovare crediti bancari dopo la rottura con Eugenio Cefis, che aveva  finanziato la nascita del Giornale. Poi sarebbe arrivato Berlusconi come editore e i problemi di cassa furono risolti.

Quando mi capitò di occuparmi di Parlamento In, una trasmissione televisiva settimanale dell’allora Fininvest, feci coppia con Roberto in quello che chiamammo “Punto e contrappunto”, improvvisati all’istante.  Il “punto” della settimana politica lo facevo io, il “contrappunto” lui, sempre disincantato, polemico, eccentrico.

All’arrivo come direttore al Giorno, nel 1989, proposi a Roberto un appuntamento fisso settimanale in quella che era o si chiamava una volta la “terza pagina”, della cultura. Provocai una rivolta della redazione, che mi contestava l’appartenenza di Gervaso alla pur ormai disciolta P2. Piovvero anche interrogazioni parlamentari al ministro democristiano delle Partecipazione Statali dell’epoca, Carlo Fracanzani, essendo Il Giorno di proprietà dell’Eni. Bontà sua, il ministro rispose dopo qualche mese difendendo il diritto alla collaborazione di Gervaso, che però nel frattempo, giustamente indignato per le proteste, e non volendo che io mi dimettessi, come avevo minacciato, ed ero pronto a fare, aveva spontaneamente rinunciato.

Tornammo un po’ a frequentarci, poi a sentirci, poi a incontrarci occasionalmente per le strade del centro di Roma, specie davanti alle farmacie che lui frequentava ossessivamente perché sempre alla ricerca di qualche medicina che lo proteggesse da mali reali o immaginari. Poi vennero a mancare anche gli incontri occasionali. Ed ora mi è arrivata la notizia della scomparsa davvero a sorpresa, come i suoi contrappunti. E ne sono davvero addolorato. Un abbraccio alla memoria, Roberto.

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