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Biden Afghanistan

L’Europa verrà stritolata fra Usa e Cina?

Il commento dell’analista Carlo Pelanda

 

Le grandi banche statunitensi stanno espandendo la loro attività in Cina siglando accordi di joint venture con quelle locali dove alle prime viene concessa la maggioranza azionaria.

Nel 2020 le cinque più grandi banche statunitensi (Citigroup, Goldman, JP Morgan, BofA e Morgan Stanley) hanno incrementato di circa il 10% la loro esposizione finanziaria in Cina portandola a quasi 80 miliardi di dollari. Il nuovo movimento le porta verso la gestione diretta del risparmio in un mercato finanziario cinese che le stime correnti valutano attorno ai 50 mila miliardi di dollari.

Alcuni analisti commentano tale fenomeno come segno che la finanza non segua la geopolitica, cioè il conflitto America-Cina.

Ma chi scrive ritiene improbabile sia che i grandi gruppi finanziari statunitensi prendano posizione in Cina senza consultare il loro governo sia che quello cinese conceda loro spazi crescenti e privilegiati senza una strategia precisa, per inciso oltre alla motivazione pubblica di voler modernizzare la gestione del risparmio.

C’è qualcosa sotto. La sensazione era già forte durante l’amministrazione Trump: da un lato bloccava la Cina con linguaggio di guerra, dall’altro mostrava l’intenzione di fare affari con Pechino, per esempio l’accordo di Fase 1 il cui protocollo riservato forse conteneva l’accordo di penetrazione finanziaria.

L’amministrazione Biden ha sistematizzato la posizione nei confronti di Pechino, definendo le aree di contenimento, competizione e cooperazione. Ma queste aree non hanno ancora un perimetro precisato e si intuisce che ci sia un negoziato in corso: lo scenario è aperto. Tuttavia, ci sono già motivi di preoccupazione per l’Ue.

In generale, il mega-investimento americano di 6 mila miliardi di dollari punta a una «superiorità di sistema». In particolare, la scala che le banche statunitensi potranno raggiungere non sarà raggiungibile da quelle europee.

In sintesi, l’ambiente business europeo, nello scenario a dieci anni, rischia di essere terzo e distante da quelli statunitense e cinese e di diventare possibile preda di quello americano. Chi scrive predica da sempre la crescente integrazione euroamericana, ma anche che una convergenza equilibrata può avvenire solo tra due sistemi di forza pari. E, facendo rapidi calcoli, il decantato Ngeu caricato di 750 miliardi di curo più qualcosa di progetti nazionali connessi, che portano l’investimento a circa un miliardo, non è certo sufficiente per pareggiare la tendenza alla «superiorità di sistema» statunitense.

I governi europei dovrebbero iniziare a pensarci, così come il sistema bancario nostrano.

 

Articolo pubblicato su milanofinanza.it

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