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America Europa Green

Come e perché Usa e Ue si guardano quasi in cagnesco

 L’analisi di Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa

L’Occidente non può continuare a vivere di rendite di posizione; e il tempo non sta giocando a suo favore. Il segnale è evidente nelle Organizzazioni internazionali, dove si fatica persino a mantenere gli spazi acquisiti nell’Assemblea e nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e negli incontri globali dove si discute dei destini del pianeta. L’Occidente si era fatto su misura un bel G7, dal quale dettava legge, per passare poi ad uno speranzoso G8, dove anche la Russia sembrava volersi integrare. Ora siamo di nuovo al G7, che ormai di leggi ne detta pochine, e a un G20 dove, se non altro perché l’Occidente è in minoranza, la nostra voce è sempre più flebile, meno ascoltata, poco incisiva. Continua però a distinguersi, nel bene e nel male, la voce grossa di Donald Trump.

MEZZO OCCIDENTE È FERMO, MA IL RESTO DEL MONDO SI MUOVE

Lo stesso rapporto transatlantico – sino a pochi anni or sono riferimento preciso nel comportamento con il Resto del Mondo -, sebbene gli europei continuino a riaffermare che è un legame solido, a causa della frammentazione delle relazioni internazionali sembra aver perso parte della propria coesione. In altre parole, a seconda del settore preso in esame (sicurezza e difesa, economia, ambiente, ecc.) appare sempre più difficile per gli Stati Uniti e per l’Unione europea rivendicare quel ruolo di leadership nella governance globale che – forse proprio perché ritenuto scontato – si è invece dimostrato non più all’altezza. Il vecchio mazzo di carte è ormai usurato, oggi si sta giocando con quello nuovo.

Altre realtà, alcune con incremento del prodotto interno lordo annuo a due cifre, stanno ormai facendosi spazio velocemente, un anno dopo l’altro. Oggi si delineano due fronti, che vorremmo pensare come cooperanti, ma che in realtà sono in contrapposizione quasi su tutto. Per Occidente (vecchio e nuovo) siamo soliti identificare Europa ed America, ovvero, in termini politici, Unione europea e Stati Uniti. Gli ‘emergenti’ sono i Paesi ormai noti con l’acronimo Brics, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Non costituiscono un’organizzazione formale, non tutti emergeranno davvero, ma di fatto ce li troviamo sempre di fronte, e talvolta in modo scomodo. L’Occidente reagisce poco, male, in modo a volte scoordinato e non sempre incisivo. Procedere a colpi di sanzioni può anche dare dei risultati, ma se eretto a sistema relazionale può diventare un pericoloso boomerang.

UN NUOVO ASSETTO GEOPOLITICO

La frammentazione globale in ciò che alcuni chiamano ‘geografia del potere’ o ‘nuovo assetto geopolitico’ (dove anche lo spazio ormai gioca un suo ruolo) richiederebbe invece un’unitarietà d’azione e di pensiero che oggi sembra in via di disarticolazione. Non siamo ancora a Venere e a Marte (immagine un po’ datata, eppure sempre efficace), ma Europa ed America si assomigliano sempre di meno, forse anche in termini culturali, si guardano con una certa circospezione e reagiscono in modo diverso persino ai disagi della crisi economica. Sembra quasi che, proprio ora che ci sarebbe bisogno di unità, l’Occidente si stia lentamente suddividendo in due sottosistemi distinti, talvolta addirittura incompatibili.

Nel fronteggiare i Brics, prima di capire bene dove stiano andando davvero e la persistenza o meno del loro successo, avremmo invece la necessità di comprendere, ragionando assieme, verso quale mare ci stia portando questa nostra lenta deriva. E come relativamente saremo, ad esempio, nel prossimo quinquennio. In questo quadro, i paradigmi tradizionali usati per intendere la portata della relazione transatlantica sono ormai insufficienti, ed è del tutto evidente la necessità di un approccio più concreto e vivace. Questo ovviamente sottende un nuovo spirito di iniziativa e una volontà che oggi appare carente.

CRISI DI SISTEMA

Ma come debba svilupparsi questo nuovo approccio è difficile capirlo, se al nostro stesso interno siamo giornalmente occupati a combattere una crisi che potrebbe essere quella di un sistema che forse ha già toccato il suo tetto, mentre, ad esempio, non sappiamo ancora come saranno gli Stati Uniti dopo le prossime elezioni presidenziali. E poi, siamo davvero cosi sicuri che un sistema socio-economico che si basa sul continuo aumento della produzione possa continuare all’infinito? È urgente capire bene se la relazione transatlantica, assieme a tutto il nostro sistema, è davvero sul viale del tramonto, o se invece si sta solo adattando a nuove forme più funzionali a quello che sarà il nuovo assetto globale.

I segnali che siamo in grado di percepire sembrano spingerci ad accelerare questa nuova consapevolezza, a dismettere gli atteggiamenti rassegnati e a riprendere con vigore l’iniziativa. Non si tratta di una guerra, ma i principi da osservare non sono molto diversi da quelli enunciati da Clausewitz. Tra questi, a nostro avviso l’iniziativa continua a fare da capofila. Certo, oggi per lo più si gioca ancora con le nostre regole economiche e anche con la nostra tecnologia (sempre meno esclusiva). Questo, finora, ci ha consentito di non essere sopraffatti e di mantenerci ancora in leggero vantaggio.

Ma per quanto tempo? Noi, almeno in Europa, non abbiamo ancora rimesso in moto la locomotiva (nemmeno quella che traina le idee, anzi…) e siamo ancora fermi a discettare dottamente su affascinanti quanto evanescenti principi universali. Nel frattempo, più pragmaticamente, l’Atlantico si sta allargando e tra i Brics c’è chi continua ad avanzare veloce, senza pretese di universalismo, ma anche senza mai perdere l’abbrivio. Non sarà il caso di rifletterci su, almeno un pochino?

 

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

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