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Chi vincerà (e in quali settori) la guerra fra Usa e Cina

Per Asia Times, gli Usa delocalizzando produzioni sempre più sofisticate in Cina hanno regalato a Pechino una superiorità tecno-scientifica ed economica. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

 

Nel suo intervento all’Onu, Donald Trump ha ribadito che gli Stati Uniti sono impegnati in una guerra fredda contro la Cina di Xi Jinping. Il suo pretesto, come altre volte, è stato il «virus cinese». Ma le cause del contrasto sono ben altre, tutte riconducibili al sempre più evidente sorpasso storico della Cina sugli Stati Uniti in tutti i campi strategici nel mondo globalizzato, dall’economia alla tecnologia, fino all’intelligenza artificiale, con l’unica eccezione di quello militare. Un sorpasso umiliante per il presidente Usa, che nel 2016 era stato eletto sull’onda dello slogan «America first». Tanto più se si considera che tutti gli studi più recenti concordano nel prendere atto che la Cina sta mandando in archivio «the American century», il secolo americano di predominio nel mondo, iniziato dopo la seconda guerra mondiale. Un sorpasso che la Cina sta realizzando in modo pacifico, senza avere fatto alcuna guerra, né sparato un colpo.

«I cinesi spendono 141 dollari pro-capite all’anno per la difesa, mentre gli americani ne spendono 2.187. La Cina ha una sola base militare all’estero (Gibuti), mentre gli Stati Uniti ne hanno 725. La Cina ha una sola portaerei, mentre gli Usa ne hanno dodici», ha scritto Bruno Guigue, ex alto funzionario in Francia, diplomato all’Ena (Scuola nazionale di amministrazione) e all’Ulm (Scuola normale superiore), oggi analista politico internazionale sul web. Nel suo recente saggio, «La Cina senza paraocchi», non nasconde l’antipatia per Trump e la simpatia per il modello cinese: «Sulla scena mondiale, la Cina non impone alcun embargo o sanzione ad altri Stati sovrani e si rifiuta di immischiarsi nei loro affari interni. Il contrario degli Stati Uniti e dei loro alleati europei, che intervengono in casa d’altri con falsi pretesti e in flagrante violazione del diritto internazionale».

Più avanti: «Il pacifismo cinese è il rovescio della medaglia del suo successo economico, mentre la prassi guerrafondaia degli Stati Uniti è un riflesso del loro declino. Invece di fare guerre vivendo a credito, la Cina ha fatto affidamento sul suo know-how per sviluppare il suo tessuto economico, e il risultato è palpabile». Tra i «progressi vertiginosi» raggiunti dalla Cina negli ultimi dieci anni, Guigue cita quelli nell’alta velocità ferroviaria: nel 2007 la Cina aveva appena 700 chilometri di linee ad alta velocità, che sono saliti a 11mila nel 2013, a 23mila nel 2016, con l’obiettivo di arrivare a 40mila km, «equivalente alla circonferenza della terra». Il tutto grazie a una politica di massicci investimenti statali, decisa da Pechino all’indomani della crisi del 2008 provocata dai subprime Usa, «una politica», sostiene Guigue, «che ha salvato la crescita globale dall’irresponsabilità di Wall Street».

Grazie a questi investimenti, la società di costruzione ferroviarie cinese Crrc, controllata dallo Stato, è diventata il primo produttore mondiale di treni ad alta velocità: è attiva in 102 paesi, impiega 180 mila dipendenti, fattura 30 miliardi di euro e costruisce 200 treni ad alta velocità l’anno, contro i 35 del duo Siemens-Alstom. Dettaglio, quest’ultimo, che Guigue sottolinea con una evidente allusione al fatto che l’Antitrust Ue, cieca e sorda davanti ai numeri, nel suo delirio burocratico è arrivata a vietare le nozze tra la tedesca Siemens e la francese Alstom, giudicate un ostacolo alla concorrenza.

Non meno interessante e documentato è l’ampio reportage sulla Cina di Asia Times, pubblicato in agosto e firmato da Dipil Hiro. Le tappe del sorpasso sugli Usa sono così riassunte: «Uscita quasi indenne dalla recessione globale 2008-2009 provocata dalla truffa speculativa dei subprime Usa, che ha rallentato le economie occidentali, nell’agosto 2010 la Cina ha sostituito il Giappone come seconda economia mondiale. Nel 2012, con 3,87 trilioni di dollari di importazioni ed esportazioni, ha superato il totale degli Stati Uniti (3,82 trilioni), primato che gli Usa avevano da 60 anni. Alla fine del 2014 il pil interno cinese, misurato in base alla parità del potere d’acquisto, ha raggiunto i 17,6 trilioni di dollari, superando di poco i 17,4 trioni degli Stati Uniti, che erano la più grande economia nel mondo dal 1872».

Al sorpasso economico si è poi aggiunto quello tecnologico. Nel 2015 il piano «Made in China 2025», varato dal governo di Pechino, ha ordinato lo «sviluppo rapido» di dieci industrie high-tech: auto elettrica, tecnologia dell’informazione di prossima generazione, telecomunicazioni, robotica avanzata, ingegneria aerospaziale, biomedicina, sviluppo di nuovi materiali sintetici, fino all’intelligenza artificiale. Il tutto con l’obiettivo di raggiungere il 70% di autosufficienza nelle industrie ad alta tecnologia e una posizione dominante sul mercato mondiale entro il 2049, primo centenario della fondazione della Repubblica popolare cinese.

In breve, la Cina è diventata leader mondiale in molti settori ad alta tecnologia, nell’elettronica di consumo, comprese le linee 5G del futuro. Negli Usa hanno accusato le imprese cinesi di avere rubato know-how a quelle americane che vi avevano delocalizzato gli impianti. Ma Asia Times sostiene il contrario: tra il Duemila e il 2016 la quota delle pubblicazioni della Cina in scienze fisiche, ingegneria e matematica è quadruplicata, superando quella degli Stati Uniti, «rimasti indietro proprio nella ricerca scientifica e tecnologica». Di più: nel 2019 gli Usa hanno perso anche il primato mondiale nei brevetti, che detenevano dal 1978 quando ne fu stilata la classifica. Secondo l’Organizzazione mondiale della proprietà scientifica, la Cina ha depositato domande per 58.990 brevetti, contro i 57.840 degli Usa.

Conclusione: «Il capitale americano, con ottusa avidità e cortezza di vedute, delocalizzando produzioni sempre più sofisticate in Cina, ha finito per regalarle una superiorità tecno-scientifica ed economica, da cui è diventato dipendente. E ora cerca di riconquistare l’egemonia con i soliti metodi: sanzioni, minacce di sanzioni, provocazioni militari».

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