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Tim Open Fiber

Ecco perché Tim spingerà su Fibercop con Kkr (in attesa di Cdp)

I risvolti anche finanziari dell'operazione Fibercop di Tim con Kkr. Il ruolo di Cdp. E lo scenario con Open Fiber. Conversazione di Start Magazine con Raffaele Tiscar, esperto di tlc ed energia, già vicesegretario generale con delega sulla banda larga a Palazzo Chigi durante il governo Renzi

Raffaele Tiscar, esperto di tlc ed energia, già vicesegretario generale con delega sulla banda larga a Palazzo Chigi durante il governo Renzi, analizza fatti e scenari sul progetto di rete unica, a partire da Fibercop.

Tiscar, lei da tempo auspica che l’Italia realizzi davvero la banda ultra larga. Che cosa pensa del progetto avviato da Tim con Fibercop come nucleo iniziale della rete unica? Che ruolo deve avere il gruppo Cdp controllato dal Mef?

Devo premettere che le notizie finora fatte trapelare sono generiche e fumose, e sono ancora molte le questioni che rimangono aperte, prive di una risposta convincente. Mi pare, però, di capire che l’approccio è sostanzialmente finanziario e non tecnologico come dovrebbe.

Perché?

Provo a spiegarmi. Si parla di rete unica, ma che tipo di rete si ha in testa? L’Italia ha bisogno di una rete molto performante “future-proof” e l’unica che risponde a questa esigenza è la configurazione FTTH (Fiber to the home), che è quella che in Italia sta realizzando solo Open Fiber, non Tim che sta invece ha adottato la FTTC (Fiber to the cabinet). Quella di Tim, si badi bene, è una scelta vincolata dalla rete in rame preesistente e da quella che nel tempo è stata realizzata con la sostituzione di parte del doppino di rame. Vincolo che Open Fiber non ha, avendo costruito la sua architettura di rete praticamente da zero. Open Fiber pensa di connettere tutta l’Italia con 1.100 centrali, invece, Tim la copre con 11.000 centrali. Come si fanno a conciliare due visioni talmente diverse? O, detta in altri termini, che cosa si intende realizzare con la società unica? Questo non è dato sapere. E non è chiaro anche altro.

Che cosa?

Da quale esigenza parte il progetto della società unica delle reti? Alcuni dicono per evitare duplicazione delle reti: ma, a parte Milano, dov’è la duplicazione? In quale città Tim offre l’Ftth Punto-Punto come quella che Open Fiber mette a disposizione degli operatori suo clienti? Oppure al contenimento dei costi di realizzazione della rete: ma se Open Fiber riutilizza dal 60% all’80% la rete elettrica, come farà Tim a far passare nei suoi dotti tante fibre quante ne occorrono per l’FTTH diverso dalla G-Pon Punto-Multipunto? Sono due progetti diversi che non possono essere conciliati.

Quindi si fa nulla tra Tim e Open Fiber?

Una volta chiariti questi aspetti, se si vogliono evitare i disastri del passato, sarà necessario prevedere che nessun operatore verticalmente integrato abbia il controllo, diretto o indiretto, della società delle reti, secondo un semplice principio di tutela della concorrenza. L’ideale sarebbe un assetto sul modello di Terna, ma pare che siamo piuttosto lontani da questo.

Tim con l’ad, Gubitosi, ribadisce che il controllo azionario di Fibercop deve essere appunto di Tim. Perché l’ex Telecom Italia non può andare sotto il 50% dal punto di vista contabile e finanziario? Significativo l’andamento del titolo Tim che la scorsa settimana sulla scia di queste notizie è salito in Borsa…

Gubitosi è stato bravissimo a fare in modo che si parli il meno possibile dei risultati disastrosi di Tim, che da anni continua a perdere clienti. E Gubitosi sa bene che Tim non può conferire la sua rete di accesso (primaria e secondaria), il cui valore patrimoniale sostiene il debito di Tim, senza un peggioramento del suo Debt to Equity Ratio, che a fine 2019 era ancora molto alto, a 1,22. Per questo sono convinto che per Tim che non ci sia alternativa: o mantiene il controllo della società delle reti a cui conferisce gli asset e può quindi consolidare nel suo bilancio o deve conferire con la rete anche la parte di debito relativo e i costi operativi connessi (personale). Altrimenti i conti di Tim peggiorerebbero, il valore continuerebbe a deprezzarsi e i suoi azionisti non glielo permetterebbero mai. I mercati, che leggono i bilanci, reagiscono alle notizie che vengono fatte filtrare e scommettono timidamente su un accordo con il governo su questo punto (si vedano anche le dichiarazioni dei sindacati favorevoli da sempre a finire sotto la tutela pubblica). Ma mi sfugge l’interesse pubblico dell’intera operazione… la si fa per il bene dell’Italia o degli azionisti di Tim?

Come mai il fondo americano Kkr punta ad entrare con una quota nella società Fibercop in cui confluirà la rete secondaria di Tim? E’ davvero così redditizio il business? Oppure si pensa che con una fetta delle risorse del Recovery Fund le casse di Fibercop saranno pingui?

Purtroppo mancano molti dettagli dell’operazione che per ora appare più l’avvio di un processo che una cosa definita. Kkr non è un ente benefico. Per come appare concepita, l’operazione del suo investimento in Fibercop appare molto redditizia, tanto che qualche analista finanziario discute se davvero convenga agli azionisti di Tim. Naturalmente, tutto cambia se entra anche Open Fiber.  Se Open Fiber dovesse rimanere fuori non sono tanto sicuro che Kkr trovi ancora conveniente chiudere l’operazione e sono convinto che nei vari MOU ci sia il modo per Kkr di ritirarsi dall’operazione oppure di utilizzare in qualche modo il Recovery Fund, cioè far pagare allo Stato la mancata chiusura dell’operazione. Ma per ora sono solo mie supposizioni in attesa di conoscere maggiori dettagli. Certo che se il governo dovesse mettere il segreto anche su questo… a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, diceva Andreotti.

Tim passerà a Fibercop anche la rete primaria e dunque anche i dipendenti che si occupano di manutenzione oltre il debito che di fatto è garantito dall’asset?

Se Tim non riuscirà a consolidare la sua partecipazione in FiberCop sarà costretta dai suoi conti a trasferire asset, debito e personale. Ma anche nel caso migliore (e bisognerà vedere cosa diranno Antitrust e Commissione Europea), Tim non ha nessun interesse ad adottare un modello di business che non valorizzi appieno la rete da essa posseduta; questo vuol dire rallentare gli investimenti sul FTTH e optare per un graduale passaggio dalla FTTC. Si tornerebbe indietro 10 anni confermando l’immagine di un Paese guidato da Pulcinella.

Open Fiber alla fine confluirà in Fibercop?

Da quello che si conosce è che Cdp sia intenzionata a conferire la sua quota di Open Fiber in FiberCop. Non penso che Enel abbia intenzione di vendere la sua partecipazione perché ne ha fatto un modello industriale esportabile anche all’estero. Però se la valutazione di Open Fiber oltrepassasse i 7-8 miliardi di €, credo che Starace un pensierino lo faccia. Ma chi lo sa? E poi non è da escludere che il governo pensi anche al dopo Starace e modificare in modo sostanziale in futuro la visione strategica di Enel. Rimane un mistero il pregiudizio negativo che serpeggia in tutto il governo (e non solo) nei confronti di Open Fiber che nell’immaginario della classe politica pare somigli più ad una bolgia dantesca che ad una società strategica per il paese. Con tutti i difetti che pure ha avuto e tuttora mantiene, Open Fiber, unico operatore nelle Tlc interamente italiano, ha rappresentato per l’Italia il punto di svolta nella infrastrutturazione in fibra. I dati parlano chiaro.

Con una Tim più snella l’azienda ex monopolista potrà concentrarsi su servizi e contenuti, con soddisfazione si pensa anche del maggior azionista Vivendi magari in una prospettiva con Mediaset. O no?

Tutti fingono di non sapere che in realtà Tim è una società con l’azionista di riferimento d’oltralpe che per ora se ne sta silente a guardare, ma che ha avallato il progetto della rete unica. Dovesse avere successo si riaprirebbero sicuramente i dossier che furono chiusi alcuni anni fa, compreso anche quello di un’exit da Tim, purché Vivendi non ci perda troppo. Non sono tanto sicuro dell’operazione con Mediaset, lo scenario è cambiato e il comparto dei contenuti è stato rivoluzionato dall’ingresso di Netflix e Amazon. Ma forse è ancora presto per parlarne.

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