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Ecco come Meta e Siae se le suonano e se le cantano

Siae e Meta si incontreranno al ministero della Cultura il 6 aprile. Ma reels e stories pasquali con ogni probabilità saranno ancora senza il grosso della musica italiana. Che cosa è successo nel corso delle audizioni dei vertici di Siae e Meta in Parlamento

 

Più che un’audizione alla commissione Cultura della Camera, una sgangherata puntata di Forum. È apparso così l’intervento delle due parti in lite, Siae su un fronte, Meta su quello opposto, che non sembrano destinate a riappacificarsi tanto presto. Certo è che il giro di soldi dietro Reels e Stories Facebook e Instagram (i social del gruppo Meta) deve essere parecchio se il prossimo 6 aprile sarà lo stesso dicastero della Cultura a provare la riappacificazione.

PER SIAE “META COME KIM”

Una strada tutta in salita, considerato che Meta e Siae non se le mandano certo a dire, col presidente della Società autori ed editori Salvo Nastasi che ha persino evocato Kim Jong-un raccontando come, a trattativa in corso, Meta abbia fatto sapere che dalle 18 avrebbe tolto tutti i repertori di Siae dai propri social semplicemente schiacciando un bottone, «come fa il dittatore coreano».

SIAE: FACEBOOK ORA SU METAVERSO, HA RICAVI MAGGIORI

Angelo Mazzetti, responsabile degli Affari Istituzionali di Meta, ha sottolineato di contro che Siae avesse chiesto quattro volte in più rispetto all’importo del precedente accordo. Circostanza che Siae però nega categoricamente («È falso dire che abbiamo chiesto un aumento del 310%. La nuova licenza non è comparabile a quella siglata nel 2020 e qualsiasi raffronto in percentuali è pretestuoso. Meta si chiamava Facebook e non si occupava di metaverso e quindi i suoi ricavi e sfruttamenti del nostro repertorio non possono essere paragonati agli attuali») ribadendo che sia stata la piattaforma americana a lanciare un ultimatum al quale è seguito l’abbandono delle trattative.

 

IL DANNO ALLA MUSICA ITALIANA

Meta, invece, rivendica di non ottenere ricavi direttamente dalla musica, come YouTube o Spotify. Sarà, di certo il danno economico c’è, specie per gli artisti italiani che avevano in quella strana forma di interazione con l’utenza una vantaggiosa vetrina. Tanto che Soundreef, che rappresenta circa 45mila autori, la metà italiana, è corsa subito ai ripari trovando un nuovo accordo col gestore dei due social.

LA MUSICA È FINITA E GLI AMICI SE NE VANNO

«Con Youtube – dicono da Siae – abbiamo trattato dieci mesi e sottoscritto nelle ultime settimane un accordo molto vantaggioso per i nostri aventi diritto, la direttiva Copyright è stata sicuramente di grande supporto. Anche con TikTok il confronto è stato complesso ma leale: a differenza di Meta ha condiviso in maniera trasparente un modello globale mostrando numeri che valgono per tutti gli aventi diritto e i loro rappresentanti».

Ma Meta, come nelle migliori puntate di Forum, respinge le accuse di Siae: il gruppo statunitense «non ha deciso unilateralmente di interrompere le trattative. In realtà, è successo esattamente il contrario», dichiara Mazzetti. E sottolinea di aver fatto «un’offerta significativamente più alta della royalty concordata con Siae fino a dicembre 2022», poi progressivamente la società ha aumentato il quantum «cercando di andare in contro alle richieste di Siae che, tuttavia, si è rifiutata di accettare qualsiasi offerta inferiore ad un aumento del +310%. Non siamo disposti a chiudere accordi irragionevoli da un punto di vista economico e di mercato».

Insomma, per Siae la colpa è di Meta, che si approfitta della posizione sul mercato, per gli americani la colpa è dell’esosità delle richieste sparate dagli italiani. Il prossimo 6 aprile al ministero si firmerà una tregua? Difficile, con queste premesse.

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