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Direttiva Copyright

La guerra Google-editori sul copyright in Europa raccontata dal Wall Street Journal

Che cosa divide colossi come Google e Facebook da produttori di contenuti in vista dell'approvazione al Parlamento di Strasburgo della direttiva sul diritto d'autore

La nuova spinta europea a frenare i giganti della tecnologia attraverso la legislazione sul copyright sta scatenando un acceso dibattito e domande sulla possibilità che la legge proposta raggiunga i suoi obiettivi.

La lotta oppone grandi editori, compagnie musicali e registi cinematografici contro i giganti di internet, tra cui Facebook e Google, così come i sostenitori dell’open-internet e alcuni piccoli editori.

Il Parlamento Europeo prevede di votare domani su un progetto di direttiva sul diritto d’autore che, secondo i sostenitori, rafforzerebbe i produttori di media contro le piattaforme internet, che verrebbero ritenute più responsabili del pagamento dei contenuti, così come la musica coperta da copyright che fa da sfondo a un home video caricato.

Il voto, che comprenderà anche più di 200 emendamenti proposti, stabilirà i parametri per negoziati potenzialmente prolungati tra il Parlamento, l’organo esecutivo dell’Ue e i governi europei. Se la legge sarà infine approvata, i Paesi dell’Ue avranno fino a due anni di tempo per attuare le nuove regole, che saranno applicate dai Paesi membri.

I critici della bozza, compresi i giganti della tecnologia e gli individui che vogliono mantenere una facile condivisione sul web, sostengono che la legge avrebbe molte conseguenze negative, tra cui soffocare la libertà di espressione, ostacolare l’innovazione e costringere a nuove spese le piccole startup per filtrare i contenuti per il materiale protetto da copyright.

La lotta per questa legge è stata insolitamente feroce, dicono i veterani delle battaglie legislative dell’Ue. Celebrità come Paul McCartney e Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia, hanno esercitato pressioni rispettivamente a favore e contro la legge. I legislatori europei dicono di aver ricevuto in alcuni giorni centinaia di email contro la bozza di testo.

I gruppi media, e in particolare gli editori, dicono che la loro attività è stata sventrata da Facebook e Google attraverso la condivisione di materiali pubblicati che forniscono agli editori pochi o nessun guadagno né la disponibilità dei dati degli utenti. Il comportamento delle piattaforme equivale a un furto, ha detto Mathias Döpfner, amministratore delegato dell’editore tedesco Axel Springer.

La nuova legge darebbe agli editori di notizie il diritto di negoziare il pagamento per l’uso digitale dei loro contenuti da parte delle aziende tecnologiche. «Se qualcun altro può semplicemente rubare ciò che avete creato», ha detto Döpfner a una conferenza organizzata dal concorrente tedesco Hubert Burda Media a Bruxelles, «allora è un caso senza speranza per i creatori di contenuti». Il chief executive officer di Burda, Paul-Bernard Kallen, ha detto che il principio «è una questione di giustizia». News Corp, editore di The Wall Street Journal, sostiene la legge per la protezione del diritto d’autore.

Un portavoce di Google ha rifiutato di commentare il disegno di legge. Quando è stato proposto per la prima volta, nel 2016, il responsabile delle relazioni istituzionali di Google aveva dichiarato in un blog che il progetto conteneva «elementi preoccupanti» che potevano implicare che «tutto ciò che viene caricato sul web deve essere autorizzato dagli avvocati prima che possa cercare un pubblico».

Una portavoce di Facebook ha dichiarato che la piattaforma offre ai titolari dei diritti strumenti per proteggere i loro contenuti, aggiungendo: «Ci auguriamo che il dibattito in futuro si concentri sulla missione originaria di proteggere il copyright e garantire un mercato vibrante per la creazione di contenuti».

Tra gli oppositori c’è anche Julia Reda, membro del Parlamento Europeo del Pirate Party tedesco, che sostiene l’accesso aperto e la privacy personale su internet. Ha definito la legge sul diritto d’autore una «link tax», avvertendo che la norma, se dovesse ricevere il via libera, potrebbe obbligare gli utenti di internet a pagare per i contenuti accessibili attraverso i collegamenti ipertestuali che ora ottengono gratuitamente. In luglio ha contribuito a far deragliare la legge dall’approvazione rapida perché «avrebbe limitato in modo massiccio la nostra libertà di espressione», come spiega sul suo sito web. Gli hyperlink sono stati esplicitamente esclusi dalla legge, ribattono i sostenitori della norma, il che significa che non ci sarà una link tax.

Alcuni riconoscono che la legge, se promulgata, avrebbe comunque poche possibilità di cambiare il modo in cui le notizie sono presentate su Internet. Leggi simili in Germania e Spagna hanno avuto scarso impatto (va ricordato che in Spagna avevano anche spinto Google a interrompere il servizio Google News). Tuttavia, dicono i sostenitori, una legge che copra i 28 Paesi dell’Ue costringerebbe le piattaforme a cambiare il loro comportamento. «Avere qualcosa a livello europeo creerebbe una nuova dinamica», ha detto Angela Mills Wade, direttore esecutivo dell’European Publishers Council, un’associazione di categoria.

Alcuni piccoli editori, individui e accademici che vogliono una distribuzione più ampia del reddito, temono che la legge limiti la pubblicazione dei loro materiali. Mathias Vermeulen, portavoce della legislatrice olandese Marietje Schaake, critica nei confronti della legge, ha detto di aver ricevuto circa 3 mila email prima di votare la legge all’inizio dell’estate. Aggiungendo che gli editori hanno ignorato le preoccupazioni sulla legge espresse da più di 200 accademici. «Alla fine è stato un dibattito molto triste da seguire», ha dichiarato Vermeulen.

I gruppi editoriali affermano che la legge darebbe loro diritti simili a quelli dei titolari dei diritti d’autore di materiale musicale e video. «Il riconoscimento giuridico ci dà una migliore posizione giuridica contro le piattaforme nelle trattative sull’uso» del materiale pubblicato, ha detto Miruna Herovanu, consulente di News Media Europe, un’altra associazione di settore.

Articolo pubblicato da Mf/Milano finanza

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