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Big Tech

Amazon, Google e Microsoft. Come e quanto incidono le big tech

Il post di Giordano Alborghetti

Qualche tempo fa trovai in internet la notizia che Mediobanca aveva fatto delle presentazioni utilizzando i loro studi dal titolo “I giganti del web”. Incuriosito andai sul loro sito e trovai i loro report e quello dei primi 6 mesi del 2020. Scaricandoli iniziai ad analizzarli e più andavo avanti e più mi rendevo conto di quanto il web, rispetto all’inizio, era ed è saldamente nelle mani di poche grosse big tech.

Pur non avendo alle spalle studi specifici, pensai di realizzare una presentazione da portare all’annuale conferenza dell’Associazione LibreItalia. Così feci e in modo provocatorio cambiai il titolo originario in “I padroni del web”. Questa mia voluta provocazione di fatto è però la drammatica situazione in cui ci troviamo. Non solo come Italia, ma allargando lo sguardo, l’Europa e il mondo. Quello che mi lascia basito, come ho scritto più volte su Twitter, è che alle conclusioni a cui sono arrivato io, sarebbero dovuti arrivare persone molto più preparate di me. Invece c’è stato ad oggi, un silenzio assordante molto preoccupante.

Perché scrivo ciò?

Perché in una situazione normale, nel momento in cui si leggono certi dati ci si dovrebbe molto preoccupare. Qualche esempio? Sui report si legge: “In Italia rimane solo il 14% della liquidità totale, mentre attraverso il sistema di cash pooling [espressione mutuata dall’inglese per definire l’accentramento, virtuale o effettivo, di tutte le risorse finanziarie (flussi in entrata e in uscita) di un gruppo presso un’unica società] il restante 84,7% va a confluire in paesi a fiscalità agevolata, come Paesi Bassi, Lussemburgo, Irlanda, altri Paesi”. Di fatto vuol dire che in Italia, come si legge ancora, la piscina è quasi prosciugata, proprio perché la maggior parte dei guadagni “prendono il volo”. Già questo avrebbe dovuto svegliare o risvegliare la coscienza di diversi soggetti politici e non, ma per fare ciò, usando le parole di Wendell Phillips bisognerebbe avere: “il coraggio morale”.  Questo è quello che manca da decenni in Italia.

Andando avanti nella lettura troviamo che tra le prime 25 big tech 14 sono statunitensi – e tranne Microsoft – hanno sede nello stato del Delaware (è un paradiso fiscale), 6 sono cinesi, hanno la sede legale alle isole Cayman, 3 giapponesi in Giappone e 2 europee in Europa. Proprio sull’aspetto fiscale è giusto ricordare che nel 2018 Amazon doveva aprire in Svizzera. A gennaio 2019 nuova regola sull’Iva: se vendi per corrispondenza e guadagni più di 100k franchi svizzeri all’anno le tasse le paghi tutte in Svizzera. I clienti svizzeri ricevettero una comunicazione da Amazon: dal 26 dicembre 2018 non consegnerà più nella loro terra. Per completezza Amazon consegna tramite Amazon.de, Amazon.it, Amazon.fr. Questo vuol dire che così come gli svizzeri hanno avuto “Coraggio Morale”, lo stesso lo dovremmo avere noi.

Andando avanti ad analizzare i report troviamo anche che da 2015 al 2019 il mercato delle Websoft è sempre più concentrato nelle mani di pochi. Le prime tre sono: Amazon, Alphabet, Microsoft che rappresentano la metà dei ricavi aggregati. Amazon domina e rappresenta da sola un quarto dei ricavi totali. Qualcuno per caso ha alzato la manina dicendo “Houston abbiamo un problema”. Nessuno. Proprio per questo ad un certo punto nella mia presentazione avevo messo questa slide.

Perché è quello che sta succedendo senza nessuna, o poca volontà politica, nel voler modificare le cose. Rispetto alla forzata digitalizzazione, a seguito della pandemia, Microsoft ha dichiarato che c’è stato un aumento del 775% dell’uso di Microsoft Teams. È presumibile pensare che lo stesso si potrebbe scrivere anche per Google Meet, e tutte le altre. Quindi potete benissimo immaginare che dietro la parvenza di voler agevolare gli studenti e insegnanti con la Dad, ci sono meramente e cinicamente interessi economici.

La mia presentazione termina così: “Non stupisce quindi che vi si sia nei riguardi della Ddi (didattica digitale integrata) tutto questo entusiasmo infantile. Da un lato per mancanza di conoscenza, dall’altro per convenienza “suggerite” da chi propone soluzioni software proprietario, senza considerare quante soluzioni ci sono nel software libero. Non dimentichiamo poi il danno erariale. Non applicazione del CAD art.68 e art.69. Recenti studi hanno inoltre evidenziato i danni nell’uso prolungato della Ddi”.

Dobbiamo rassegnarci a tutto ciò? Assolutamente no!

Certo è che non basta solo che sia la società civile a ribellarsi, ma la politica dovrebbe iniziare a fare la sua parte avendo la consapevolezza che oggi più che mai tutti dovrebbero avere un minimo di conoscenze e competenze digitali e informatiche.

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