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Petrolio

Petrolio, come reagiranno i Paesi emergenti al crollo dei prezzi

L'ulteriore crollo dei prezzi del petrolio causato dal coronavirus mette in difficoltà i Paesi emergenti dipendenti dalle entrate petrolifere. Estratto dell'analisi di Luca Moneta dell'ufficio studi Sace Simest (gruppo Cdp)

In un settore in cui i primi tre produttori (USA, Russia e Arabia Saudita) rappresentano circa un terzo dell’output ed esportano metà di quanto producono a livello aggregato, i due terzi rimanenti sono composti da produttori di seconda e terza fascia che in molti casi sono estremamente dipendenti dalle entrate petrolifere e con limitate capacità di contenimento della spesa.

I livelli record di produzione statunitense avevano già contribuito al crollo dei prezzi del 2014-2016 e messo in difficoltà diversi produttori storici dell’area atlantica (Angola, Brasile, Messico, Nigeria, Venezuela) per i quali gli USA rappresentavano il primo mercato di sbocco. La reazione dei produttori emergenti nel triennio 2014-2016 ha compreso tagli massicci alla spesa pubblica, disinvestimenti (ad esempio per Pemex e Petrobras) e restrizioni valutarie (Angola, Venezuela).

Nonostante le misure adottate dopo l’ultimo calo di prezzo del barile, il breakeven fiscale di diversi produttori, ossia il livello di prezzo del petrolio per cui si stima che il bilancio chiuda in pareggio, è ancora molto elevato (Fig. 2). Sono tanti i paesi in cui il breakeven fiscale si colloca al di sotto della media del Brent nel 2019 (i.e. 64 USD/b) e ancora più paesi sarebbero in difficoltà con un livello di 45 USD/b – ritenuto anzi accettabile anche per le produzioni di frontiera, come il pre-salt brasiliano in acque profonde.7

 

La produzione statunitense di gas è quasi raddoppiata negli ultimi dieci anni raggiungendo i 3,3 milioni di metri cubi al giorno (mmc), mentre quella di petrolio è passata dai 5 mbg di dicembre 2009 ai 13 mbg di febbraio 2020. Gli USA hanno aumentato sensibilmente la produzione di petrolio e gas negli ultimi anni (Fig. 3) aumentando le proprie forniture strategiche e diventando il primo produttore al mondo in ambo i campi.

Il mercato, in particolare per il petrolio, è diventato più corto con una minore interdipendenza tra paesi tradizionalmente importatori, soprattutto gli USA, ed esportatori. La produzione di petrolio a livello globale è aumentata in media dell’1,3% l’anno dal 2008, mentre l’import/export di greggio è cresciuto in media del 2,3% nello stesso periodo. Se si guarda al primo mercato al mondo, gli USA, si osservano tuttavia un aumento medio annuo dell’8,5% per la produzione e una diminuzione del 2,6% delle importazioni.

La ricerca dell’autosufficienza energetica sotto la presidenza Obama ha contribuito al disimpegno statunitense da diversi fronti in Medio Oriente e, in questo senso, l’estensione di logiche simili sul piano industriale da parte dell’amministrazione attuale sta riducendo ulteriormente gli spazi per gli esportatori di prodotti petroliferi. Il Covid-19 sta accelerando anche la riduzione della dipendenza da forniture esterne per prodotti o lavorazioni sensibili così come la transizione energetica verso modelli con picchi di domanda più smussati e meno dipendenti dall’esterno. Anche l’Unione Europea è impegnata in questo senso.

 

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