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Turchia

Non solo Eastmed, cosa cambierà dopo le novità turche in Libia. L’analisi di Bianco

Mettendo il bastone tra le ruote al progetto Eastmed (che sta per essere accantonato), la Turchia ha innescato una conflittualità che sta generando un fronte anti-turco. L'analisi di Cinzia Bianco, visiting fellow all’European Council on Foreign Relations e analista dei Paesi del Golfo.

 

Che conseguenze avrà la vittoria turca in Libia sulla grande partita per il petrolio libico?

Dopo che negli ultimi giorni si sono succedute analisi che incoronavano Erdogan come nuovo dominus della Libia e delle sue risorse energetiche, sembrava opportuno verificare se le cose stessero davvero in questo modo.

Start Magazine ha sentito Cinzia Bianco, visiting fellow all’European Council on Foreign Relations, grande esperta degli affari dei Paesi del Golfo e co-autrice di un corposo report di recente pubblicazione, “Deep Sea Rivals: Europe, Turkey, and New Eastern Mediterrean Concflict Lines”, che analizza e spiega praticamente tutti i pezzi del grande puzzle in cui si inserisce il conflitto in corso nella nostra ex quarta sponda.

Il punto infatti è che che il vero trofeo laggiù non è, come si tende a pensare, l’oro nero che sgorga dai pozzi del Fezzan o altrove, ma il controllo geopolitico del Mediterraneo.

Quello della Libia è insomma solo un piccolo pezzo in un grande gioco che vede coinvolti tutti gli attori dell’area – dai grandi player del Golfo Persico, alla Russia fino al nostro stesso Paese – e in cui di mezzo ci sono le immense risorse energetiche sepolte sotto i suoi fondali: le stesse che, come ricorda Bianco, dovevano essere convogliate in Europa attraverso un progetto come Eastmed che ha trovato in Ankara il suo più formidabile nemico e ostacolo.

Cinzia Bianco, si può sostenere che i Paesi del Golfo – Emirati in testa – siano stati sconfitti insieme ad Haftar in Libia?  E come si muoveranno ora?

Gli Emirati Arabi Uniti sono rimasti ormai l’unico sostenitore di Haftar tra i paesi del Golfo e sicuramente, con la sconfitta del Maresciallo, si sentono sconfitti anche loro. Giustificano quel che è successo con spiegazioni abbastanza lineari e di tipo sostanzialmente militare – la sconfitta sarebbe stata determinata cioè dalla partecipazione più attiva e cinetica della Turchia nel conflitto – però per gli Emirati questo non è un conflitto solo militare e soprattutto non è legato solo alla Libia. È un conflitto geopolitico che si gioca su più tavoli. Per cui sicuramente gli Emirati si accingono a rispondere alla vittoria turca cercando di colpire Ankara. Lo faranno nella stessa Libia o su alcuni degli altri tavoli in cui si confrontano con essa: il Corno d’Africa, il Mediterraneo Orientale o la Siria.

Quali erano le mire energetiche degli Emirati in Libia? E che cosa cambia ora per loro da questo punto di vista?

Gli Emirati hanno sicuramente delle mire energetiche in Libia, ma i loro interessi sono soprattutto logistici e mi spiego. Avendo molte risorse energetiche per proprio conto, non è tanto all’accesso all’energia libica che essi mirano, a maggior ragione in un momento in cui il mercato energetico è in crisi con l’offerta che supera la domanda. Direi dunque che per gli Emirati, come per i Paesi del Golfo in generale, il fattore energetico è senz’altro secondario. Quel cui gli Emirati ambiscono è ottenere vantaggi dal punto di vista logistico, in termini ossia di proiezione in un’area strategica dal punto di vista geopolitico.

Cosa cambia per la Libia, e soprattutto per i suoi assetti energetici, dopo la vittoria di Erdogan? Sarà lui ad avere l’ultima parola sul petrolio libico? 

Per quanto gli ultimi sviluppi siano sicuramente significativi, essi non avranno alcuna influenza su una dinamica fondamentale del mercato in questo momento, ossia che i paesi produttori non trovano a chi vendere il loro petrolio. Avere più petrolio in questo momento non è necessariamente una cosa positiva. E vorrei sottolineare che questa contrazione è sì stata accelerata dal Covid-19, ma esisteva già prima. È un fenomeno strutturale. Quanto al fatto che Erdogan adesso possa controllare il petrolio libico ed avere, come dice lei, l’ultima parola nutro seri dubbi. Questo è un discorso che va a toccare molti altri interessi radicati e contratti blindati della durata di decenni.

La vittoria a Tripoli avrà un effetto diretto sulle mire e gli appetiti di Erdogan nel Mediterraneo orientale?

Il Mediterraneo Orientale è assolutamente parte di questa partita. Dal punto di vista degli attori mediorientali, è come se fosse un unico gioco geopolitico in cui si confrontano due schieramenti, uno capitanato da Qatar e Turchia e l’altro da Arabia Saudita ed Emirati, cui si aggiungono altri soggetti a seconda dei contesti. Per contrastare la Turchia nel Mediterraneo Orientale gli Emirati hanno trovato sponda in tutti i paesi che hanno giacimenti di gas che dovrebbe poi alimentare la pipeline Eastmed. Stiamo parlando di attori come Cipro, Grecia, Egitto e anche l’Italia, sebbene la sua partecipazione a questa partita sia stata a corrente alternata. Ma il progetto Eastmed, come saprà, sta per essere accantonato.

Perché?

In primo luogo perché è risultato molto costoso. In secondo luogo, si sta ragionando su tecnologie alternative per trasportare il gas, tra cui la liquefazione per permettere al gas di essere esportato ovunque sotto forma di LNG. Seguendo questa strada, verrebbe meno buona parte della componente geopolitica che prevedeva di raggruppare tutti gli attori in un unico soggetto.

Non a caso quel progetto aveva mandato su tutte le furie Erdogan.

Esattamente. Per mettere il bastone tra le ruote al progetto Eastmed, Ankara ha tentato di ridefinire di concerto con Tripoli le zone economiche esclusive nel Mediterraneo Orientale riportando sotto sovranità turca molti giacimenti di interesse per il progetto. In questo caso il dato energetico si è sovrapposto alla rivalità politica tra la Turchia da un lato e Grecia e Cipro dall’altro, e ha generato una conflittualità diffusa che si estende sino alla Siria, dove Atene ha appena riaperto la propria rappresentanza diplomatica. È una conflittualità che insomma si sta allargando a macchia d’olio generando un compatto fronte anti-turco.

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