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Piano Colao

Il piano Colao è poco green?

C'è chi scorge diversità di impostazioni su energia e ambiente tra l'azione del governo Conte e le indicazioni del piano Colao

 

E se il piano Colao per il “Rilancio Italia 2020-2022” fosse contro il green new deal del governo? Un tragico paradosso, difficile da spiegare e soprattutto da digerire. Molto prima che il coronavirus bloccasse sul nascere le iniziative verdi del governo, ci si stava abituando all’idea che una coalizione tutta di sinistra (?) sarebbe stata capace di imprimere al Paese quella svolta sostenibile così attesa. Con una competizione tra politica ed aziende – le più grandi controllate dallo Stato – sui soldi da mettere in campo.

Il piano Colao, invece, tranne alcune macro indicazioni, non sembra sposare in pieno quella strategia che Conte e i ministri sono andati spiegando in Italia e in Europa. Anzi, il modello di sviluppo che “viene fuori dalle 102 schede è quello pre-crisi Covid 19”, ha detto il leader dei Verdi, Angelo Bonelli.

L’analisi degli ambientalisti è, infatti, durissima, laddove le schede di Colao prevedono il silenzio assenso entro 30 giorni per le nuove infrastrutture ricadenti nelle aree sottoposte a vincolo ambientale o paesaggistico, per il consumo di suolo o il riuso, per la carenza di indicazioni sull’agricoltura sostenibile, per la poca chiarezza sulle fonti di energia. Nel Comitato sedevano esponenti illustri del mondo ambientalista: hanno detto di sì al capo?

Diamo atto di avere previsto il commissariamento per lo sblocco di importanti infrastrutture, anche energetiche di cui abbiamo bisogno e su cui i Cinquestelle un giorno faranno l’esame di coscienza. Ma nelle schede resta nell’ombra la annosa questione dei sussidi statali alle fonti energetiche tradizionali. Una cifra smisurata, da rivedere gradualmente, secondo gli ambientalisti. “Com’è possibile parlare di green deal se nel suo piano Colao non prevede l’eliminazione dei 19 miliardi di euro di sussidi ambientalmente dannosi, che vengono destinati a favore di chi utilizza idrocarburi?” aggiunge Bonelli. Una riposta positiva bisogna cercarla tra le righe, se c’è.

Il piano descrive a grandi linee le necessità ambientali ed energetiche dell’Italia. Vi dedica attenzione. Convincono l’utilizzo accelerato per l’Autorizzazione unica nelle opere energetiche, i tempi celeri per il rilascio della Valutazione di Impatto Ambientale ed altri passaggi più snelli ed urgenti.

Ma mentre l’Europa pensa di investire 2600 miliardi di euro per la transizione energetica nei prossimi 10 anni e il Piano Energia e Clima italiano prevede 180 miliardi di investimenti al 2030, la task force nominata da Conte non fa grandi passi avanti per ridisegnare il Paese su questi fronti così strategici. Soprattutto dopo il disastro economico e sociale del Covid 19.

Bastano ancora quei soldi? Si pensa ad altri interventi aggiuntivi sui territori? Non è che dobbiamo aspettare gli Stati generali dei prossimi giorni per avere più chiaro come il governo guarda al futuro senza riproporre soluzioni antiche? Se così dovesse accadere le schede della task force avrebbero posto solo in un dignitoso archivio di Palazzo Chigi.

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