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Bcc

Tutte le sportellate delle Bcc contro il governo

Che cosa succede fra Bcc e ministero dell'Economia? L'articolo di Emanuela Rossi

 

Tornano sotto i riflettori le Bcc. Questa volta lo fanno tramite il Consiglio Nazionale di Federcasse, la Federazione Italiana delle BCC-Casse Rurali, e gli organi di Confcooperative che hanno esaminato il decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze sui nuovi requisiti e sui nuovi criteri di idoneità degli esponenti bancari. Un regolamento che, spiegano, agli istituti di credito cooperativo può creare problemi nel rinnovo degli organi sociali. Per questo Federcasse e Confcooperative chiedono di integrare presto nel dm “i principi di proporzionalità e adeguatezza con un approccio strutturale e non di eccezione”.

A destare qualche preoccupazione, però, anche gli effetti della pandemia e le nuove regole bancarie europee sulla definizione di “default” e sul “calendar provisioning” ossia il calendario degli accantonamenti per i crediti deteriorati.

LE LAMENTELE DI FEDERCASSE E CONFCOOPERATIVE

Federcasse e Confcooperative nella loro nota hanno evidenziato come il decreto 169/2020 del Mef sui nuovi requisiti e criteri di idoneità degli esponenti bancari “non applica in modo strutturato i fondamentali princìpi di proporzionalità e di adeguatezza, accelera processi di omologazione e determina paradossali effetti di conservazione”. In sostanza, questa è l’accusa, “le nuove regole ostacolano il rinnovamento degli organi sociali e, di conseguenza, l’auspicato incremento della diversità sia di genere sia di profili professionali e l’indispensabile turn over con l’ingresso di amministratori giovani”. Pur condividendo “pienamente l’obiettivo sostanziale dei legislatori, europeo e nazionale, di puntare sulla costante qualificazione del governo societario nell’industria bancaria dell’Unione”, le due organizzazioni non ne condividono l’approccio “ancora una volta solo parzialmente (o incidentalmente) improntato ai princìpi di proporzionalità e di adeguatezza, fondamentali e costitutivi dell’Unione europea”.

In sostanza, si riconosce che il decreto ministeriale sebbene “escluda opportunamente le BCC-CR dalla classe delle ‘banche maggiori’” e le includa nella classe delle banche “piccole e non complesse” (con attivo pari o inferiore a 5 miliardi di euro) comunque “disegna un sistema di selezione degli amministratori rigido, a maglie strettissime e con effetti paradossalmente conservativi per le piccole banche e, tra queste, soprattutto per le BCC”.

Federcasse e Confcooperative hanno ricordato poi che “norme relative alla mutualità, loro caratteristica distintiva, impongono di scegliere i propri amministratori tra i soci (oltre 1,3 mln, ndr) i quali sono prevalentemente imprenditori, professionisti, artigiani, agricoltori, commercianti, lavoratori, insegnanti con adeguata esperienza e opportunamente e continuativamente formati”. E infatti “il connotato del localismo comporta che le BCC abbiano una operatività circoscritta per legge ai territori di insediamento, che non siano necessariamente tutte collocate nelle grandi città e nelle piazze finanziarie, ma piuttosto nei distretti produttivi di natura industriale, artigianale, agricola, commerciale”.

Insomma, si genera “un effetto di sostanziale ‘congelamento’ della classe dirigente, ostacolando il rinnovamento degli organi sociali, il necessario incremento della diversità sia di genere sia dei profili professionali e l’indispensabile turn over con l’ingresso di amministratori giovani (dotati di requisiti di esperienza difficilmente adeguati ad un board di un gruppo bancario cross-border, ma sovradimensionati rispetto al Consiglio di amministrazione di una banca di comunità con finalità mutualistiche)”.

Cosa si sarebbero attese le Bcc dal legislatore nazionale? Che si muovesse “utilizzando gli opportuni e adeguati margini di flessibilità e discrezionalità previsti e consentiti dalle direttive europee” e che tenesse in conto “la semplicità gestionale delle piccole banche” non accostandole invece, per molti aspetti, “alla complessità imprenditoriale, manageriale e organizzativa di una grande o grandissima banca quotata in Borsa”.

L’APPELLO CON I SINDACATI

Federcasse non si è fermata qui e ha chiamato a raccolta anche le organizzazioni sindacali, insieme ad Iccrea e Cassa Centrale Banca (Ccb) e alla Federazione Raiffeisen. Dunque con le segreterie nazionali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Sincra-Ugl Credito hanno definito una dichiarazione congiunta per esprimere “comune preoccupazione” per gli impatti economici e sociali che nasceranno dalle regole bancarie europee – in vigore dal 1° gennaio 2021 – relative alla nuova definizione di “default” e al calendario degli accantonamenti per i crediti deteriorati, ovvero il “calendar provisioning”.

“In uno scenario pesantemente condizionato dagli effetti della pandemia – hanno scritto – tali normative risultano sproporzionate, inadeguate ed inopportune” in quanto “mettono a rischio l’accesso al credito di imprese e famiglie e compromettono le prospettive di recupero dell’economia italiana ed europea”. In particolare le Bcc, le Casse Rurali e le Casse Raiffeisen “registrano segnali di sofferenza sempre più acuta da parte di ampie fasce di popolazione e di settori produttivi che invece sono tradizionalmente resilienti in periodi di crisi di minore impatto globale e che per effetto delle modifiche normative ora intervenute a livello europeo, in un contesto generale già gravemente condizionato dalla emergenza pandemica, rischiano di diventare ‘cattivi pagatori’, contro la loro volontà e per effetto di eventi straordinari e imprevedibili”.

Per questo “è necessario e indispensabile procedere immediatamente a specifiche modifiche ed adattamenti di tali norme, che consentano all’industria bancaria di offrire il massimo supporto all’economia reale in questa fase di grave emergenza sanitaria ed alle ‘Banche di comunità’ di sostenere i territori di riferimento in piena coerenza con i loro valori fondanti”.

Un appello poi alla creazione di “un’Unione bancaria inclusiva, diversificata e sostenibile, con regole sul credito lungimiranti, proporzionali, adeguate, più prossime alle nuove esigenze dell’economia reale, delle famiglie e delle imprese” ricordando “il grande apporto dato, da sempre, dalle banche cooperative e mutualistiche alla tenuta del sistema sociale ed economico”.

LE PREOCCUPAZONI DI DELL’ERBA

Nelle stesse ore a parlare di Bcc, di impatto della pandemia sul sistema bancario e di calendar provisioning ci ha pensato pure Augusto dell’Erba, presidente di Federcasse, intervistato dall’AdnKronos. “In linea astratta – ha affermato – gli effetti della pandemia sulle banche possono essere differenti a seconda del modello di business, dell’area geografica di influenza, del grado di esposizione verso singoli comparti produttivi, del grado di internazionalizzazione. Non è possibile stabilire ancora in questa fase se le banche di piccole dimensioni possano essere più o meno soggette a impatti negativi derivanti dalla pandemia”.

Di sicuro, ha evidenziato dell’Erba, “la crisi pandemica si caratterizza per essere di natura temporanea e non strutturale come quella degli anni 2009-2014” e comunque “i maggiori rischi di instabilità non verranno dalle banche di piccole dimensioni ma potrebbero essere generati da situazioni di debolezza di banche e gruppi medio-grandi, per i quali appare complessa, farraginosa e anche incerta l’applicazione del meccanismo della risoluzione”.

Secondo il numero uno di Federcasse le nuove regole sui crediti bancari “hanno un impatto su tutte le banche e sulla loro clientela. Il cosiddetto calendar provisioning tende a ridurre la gestione del credito anomalo a mera attività burocratica e a imporre previsioni di perdita predefinite e slegate dalle caratteristiche delle singole posizioni e dalla relazione tra banca e cliente affidato”. Infine dell’Erba è tornato su un tema da anni centrale fra le Bcc: “C’è un problema di mancata proporzionalità delle norme, di eccesso di costi di compliance per le banche minori e quindi di inefficienza della regolamentazione – ha notato -. Un problema ben noto e ampiamente discusso a livello Ue, che pone in generale il complessivo sistema finanziario europeo in una posizione non concorrenziale con quello nordamericano”.

LE RIFLESSIONI DI FIRST CISL

Nelle stesse ore First Cisl ha reso note alcune riflessioni del segretario generale, Riccardo Colombani, sullo stesso argomento. Colombani chiama in causa anche la riforma del credito cooperativo volta dal governo Renzi. “Le normative e il nuovo ordinamento europeo stanno allineando le banche di credito cooperativo italiane alle grandi banche senza che la riforma, pensata e avviata nel 2016, abbia prodotto effetti confacenti. L’obiettivo di rafforzare e uniformare un sistema frammentato in centinaia di piccole Bcc, a sostegno delle singole economie locali – ha evidenziato -, si è rivelato in realtà una semplice suddivisione in due gruppi bancari cooperativi e un Institutional protection scheme (Ips) nella provincia autonoma di Bolzano; qualcosa di ancora molto distante dai propositi iniziali. Peraltro, neppure processi di consolidamento esasperato tra le piccole Bcc sarebbero funzionali all’intrinseco obiettivo di utilità sociale del modello bancario cooperativo”.

Secondo il segretario generale First Cisl “per gestire al meglio la necessaria revisione della riforma del credito cooperativo è indispensabile coinvolgere tutti gli stakeholder, dai soci, alle associazioni, alle istituzioni locali e, in particolare, è essenziale creare le condizioni affinché le lavoratrici e i lavoratori, dalle aree professionali ai dirigenti, possano esprimere e rappresentare con orgoglio la diversità del modello cooperativo, che non può e non deve omologarsi al resto del sistema bancario”.

Dal canto suo “la politica nazionale deve mettere in atto tutto quello che è nella propria disponibilità, anche in termini di interlocuzione con le Istituzioni europee, per evitare il ridimensionamento del credito cooperativo o la già accennata omologazione. Ciò al fine di scongiurare l’elevato rischio di distruzione di quella capillare capacità produttiva rappresentata dalle numerosissime micro-imprese e dalla connessa occupazione, nonché il venir meno con essa della coesione sociale del Paese”.

Colombani fa appello anche alle parti sociali, chiamate a “ridisegnare il sistema di relazioni sindacali per la valorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori, che rappresentano l’identità di quei valori propri del credito cooperativo e che hanno l’onere e l’onore di praticare giorno dopo giorno”.

Prossimo appuntamento, “il rilancio della contrattazione collettiva nazionale, compreso il contratto dei dirigenti scaduto da troppo tempo” che “deve rappresentare il nuovo inizio”.

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