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Quali logiche celano commissioni, task force e stati generali?

“Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista

 

Ci sono due tendenze pericolose proprie del nostro mondo che l’uscita dalla pandemia potrebbe accelerare, soprattutto forse nel nostro Paese che non ha molti anticorpi per affrontarle. Tendenze ovviamente che potrebbero essere accelerate da una classe politica opportunista e ignorante al tempo stesso quale è quella che ci ritroviamo. Le chiamerò “virtualizzazione” e “oggettivazione”, cercando di spiegare nel modo più semplice possibile che cosa per esse io intenda.

Prima di tutto dico che esse sono pericolose in quanto contrastano con lo spirito stesso della nostra tradizione, cioè con la cultura occidentale. In verità, esse sembrerebbero, al contrario, essere insite fin dall’inizio nella nostra storia, ma si tratta appunto di un’apparenza. La virtualizzazione è infatti il predominio, portatoci dai new media e in genere dalla “rivoluzione digitale”, dello “spirituale” sul “materiale”, cioè dell’“irreale” (fra l’altro molto più facilmente manipolabile) sul “reale”. Per capire a cosa mi riferisco, credo che molto esemplificativa sia la proposta, che speriamo non si realizzi e che sinceramente non saprei come collocare nella linea che si dipana fra il tragico e il comico, del ministro Lucia Azzolina di riaprire le scuole rinchiudendo gli studenti in camere di plexigass.

Si parla tanto, spesso “a schiovere” come si direbbe a Napoli, di “dignità” della vita umana, ma può essere considerata degna di essere vissuta, a maggior ragione nel periodo della formazione, una vita senza contatto fisico? Sì, proprio fisico, erotico nel senso greco del termine. Può darsi apprendimento senza questo elemento? Può essere vita una vita senza fisicità, quasi come l’intelligenza fosse un problema solo di testa e non coinvolgesse tutti i sensi, compreso quello del tatto su cui hanno insistito pensatori, per fare solo qualche nome, come Maurice Merleau-Ponty e Jean-Luc Nancy?

Non è una distopia quella che ci prospetta un mondo siffatto come anche solo accettabile e preferibile ad un contagio fra l’altro molto ipotetico, sia per quel che concerne oggi il Covid-19 sia domani per qualche altro virus che potrebbe venir furi? Dovremo anche ridurci a fare l’amore onanisticamente davanti a un computer? (sembrerebbe che nel periodo del lockdown i siti porno abbiano avuto un incremento di traffico esponenziale). Questa idea solo “spirituale” di vita è proprio l’opposto di quella della nostra tradizione, sia quella pregna di eros del mondo classico sia quella sempre attenta alla dimensione “carnale” del cristianesimo. Il quale non a caso è arrivato a concepire un Dio che si è fatto uomo e “incarnato”, cioè si è fatto carne e sangue.

Il secondo pericolo che il mondo futuro dovrà poi scansare è, come dicevo, quello dell’oggettivazione, cioè di un mondo ridotto a cose “semplicemente-presenti” e quindi razionalizzabili solo secondo la logica formale e manipolativa propria delle scienze. Come non ci fosse tanta “razionalità”, di altro e non inferiore tipo, nei sentimenti, nell’arte, nei riti e persino nei miti e nei simboli ereditati dalla tradizione.

L’idea di normare, razionalizzare, progettare, burocratizzare, prevenire, immunizzare; in una parola aver paura dell’imprevisto e dell’imperfezione, che invece sono elementi centrali e fondanti della vita così come la conosciamo (e che è l’unica possibile e per noi auspicabile), è la logica ma tragica conseguenza di chi sviluppa fino in fondo la logica “oggettivante” propria della modernità (quella che porta a concepire addirittura l’etica come “etica applicata”, come argomentavo l’altra volta). E che si evidenzia tutta, ad esempio, nella creazione ad libitum di pletoriche commissioni, task force, posizioni consulenziali, “stati generali”, di cui la cronaca politica italiana di questi giorni ci sta dando anche questa volta tragi-comica testimonianza.

Tutto il contrario di quella mentalità “umanistica”, cristiana e liberale la cui perdita più di ogni altra cosa dovremmo temere. Il rischio è quello di richiuderci in una gabbia questa volta (weberianamente) “d’acciaio” e non solo di plexigass. Che dire? Il problema, in fondo, è culturale. E proprio per questa sua natura non è facile porre mano ad esso.

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