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Leonardo Oto Melara

Profumo e Leonardo: rumors, smentite e polemiche

Che cosa succede a Leonardo e al capo azienda Alessandro Profumo? Fatti, dati e indiscrezioni (Bono di Fincantieri in agguato?)

 

“Arriva il giorno dei conti del terzo trimestre, ma non quello delle dimissioni al vertice. L’amministratore delegato Alessandro Profumo va avanti, nonostante le voci sui candidati alla successione, le lettere al vetriolo di Bluebell e i malumori di parte del governo”.

E’ quello che ha scritto oggi la giornalista Angela Zoppo del quotidiano Mf/Milano Finanza.

Ieri, su Dagospia, sono rimbalzati rumors secondo cui oggi il capo azienda di Leonardo, Profumo, poteva presentarsi dimissionario al consiglio di amministrazione del gruppo dell’aerospazio e della difesa.

Indiscrezioni corroborate da richieste di dimissioni che sarebbero giunte – come ha scritto ieri sempre Dagospia – dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini (Pd).

Una mossa – secondo la ricostruzione di Start Magazine – che non c’è mai stata.

Inoltre – evidenzia un addetto ai lavori – sarebbe l’azionista pubblico dell’ex Finmeccanica, ossia il dicastero dell’Economia retto da Roberto Gualtieri (Pd) e il direttore generale Alessandro Rivera, a chiedere nel caso le dimissioni del capo azienda di Leonardo, sulla scia della condanna emessa giorni fa per una vicenda di Mps quando Profumo era presidente dell’istituto bancario.

Ma dal Tesoro non sono arrivati input, secondo indiscrezioni governative. Anzi, il viceministro del Mef, Antonio Misiani (Pd), ha detto esplicitamente nei giorni scorsi che Profumo non deve dimettersi.

Questo non significa che anche nel Pd ci sia dibattito su se e come dare indicazioni sul tema.

In ambienti parlamentari si fa anche notare come nei giorni scorsi – al posto del deceduto Peppino Caldarola, già direttore dell’Unità – alla direzione della rivista aziendale La Civiltà delle Macchine è arrivato Antonio Funiciello, comunicatore e saggista, già capo staff del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni tra il 2016 e il 2018.

Così come – rispetto a una prima dichiarazione del Movimento 5 Stelle e una dichiarazione dei deputati pentastellati della commissione Finanze (peraltro bacchettata dal presidente del Copasir, Raffaele Volpi, esponente di spicco della Lega) – i grillini sono meno compatti di quanto si possa pensare rispetto a Profumo: il dimaiano Carmine America, membro del cda di Leonardo, ha votato a favore dello status quo per il vertice deliberato di recente dal consiglio di amministrazione dell’ex Finmeccanica.

È noto peraltro in ambienti finanziari milanesi che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il pentastellato Riccardo Fraccaro, abbia rapporti proficui con il vertice di Leonardo e dunque con Profumo.

Secondo rumors politici, a fianco delle fibrillazioni politiche torna in auge il progetto da tempo perseguito da Giuseppe Bono, deus ex machina di Fincantieri, per dare slancio alla sua idea di un campione nazionale del settore frutto della fusione tra Leonardo e Fincantieri, anche per attutire i contraccolpi sul business del gruppo della cantieristica controllato con il 71% da Cdp Industria (gruppo Cassa depositi e prestiti).

Rumors o scenari improbabili a parte, resta il fatto – come sottolineato in un ruvido articolo di Avionews rilanciato da Dagospia – che “il titolo in Borsa, da quando c’è lui al timone dell’azienda, cioè dal 2017 è crollato lentamente, passando da 15,9 euro agli attuali 4,7 euro”.

Anomalia?

Si è chiesto ieri il Sole 24 Ore: “Cosa hanno in comune blue chip italiane del calibro di Eni, Telecom, Leonardo e Saipem? Sono tra le peggiori da inizio anno con ribassi che vanno dal -61% di Saipem al -44% di Telecom Italia. Altro punto in comune è che una settimana fa hanno ritoccato, e in alcuni casi aggiornato al ribasso, i minimi dello scorso marzo nel mezzo del primo caos pandemico. Terzo punto: nel capitale c’è anche lo Stato: con una quota del 43% per Saipem, del 30% per Leonardo ed Eni e di circa il 10% per Telecom. Ma il gioco delle analogie non finisce qui: da inizio anno le loro quotazioni stanno facendo decisamente peggio dei competitor europei. Basti pensare che il -61% di Saipem e il -53% di Eni si raffronta con un ribasso del 40% del settore oil europeo (indice Stoxx 600). O che il -57% di Leonardo va rapportato al -8% degli industriali europei e che il -44% di Telecom è più del doppio rispetto alle tlc del Vecchio Continente (-21%)”.

Come mai questi grandi gruppi italiani sono così sotto pressione in Borsa?

«Ho notato in più sedute un accanimento degli investitori contro questi titoli anche in assenza di notizie particolarmente negative – ha spiegato Davide Biocchi, trader Directa sim -. Nonostante il rimbalzo messo a segno nelle ultime due-tre giornate i grafici di questi titoli continuano ad essere tecnicamente brutti da vedere. Mentre nel lungo periodo i prezzi toccati in ottica value investing potrebbero risultare interessanti, nel breve l’accanimento contro titoli del genere potrebbe proseguire, anche perché non è da escludere che in parte sia dovuto a una pressione ribassista esercitata da alcuni fondi che attraverso questi titoli si copre dal rischio Paese non potendo più farlo, come accadeva in passato, con BTp e banche. Oggi protetti dallo scudo della Bce».

Per questo, non a caso, il Copasir ha acceso un faro su Leonardo.

CONTI E BORSA, CHE COSA SUCCEDE A LEONARDO. IL PUNTO DI START MAGAZINE

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