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Francia Germania

Perché le trame di Merkel e Macron non si realizzeranno facilmente

L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

“I due Stati approfondiscono l’integrazione delle loro economie al fine di istituire una zana economica franco- tedesca dotata di regole comuni”: così recita l’articolo 20 del Trattato di Aquisgrana, firmato ieri tra Francia e Germania per il coordinamento delle rispettive politiche economiche, la convergenza dei due Stati ed il miglioramento della competitività delle loro economie. Non sarà un compito facile: hanno strutture produttive assai poco complementari, assetti industriali sostanzialmente paralleli ed autonomi, sistemi finanziari indipendenti.

La Francia marca il passo rispetto alla Germania: quest’ultima non solo ha un consistente avanzo commerciale strutturale nei confronti della prima, pari a 41 miliardi di euro nel 2017, ma è arrivata a detenere ben 427 miliardi di euro di titoli emessi dalla Francia come investimenti portafoglio. Ammontar raddoppiato dall’inizio della crisi, che serve a finanziare il disavanzo commerciale ed il debito pubblico francese. Il confronto con il disavanzo commerciale degli Usa, che è stato di 50 miliardi di euro, e con quello dell’Italia, che è arrivato a 10 miliardi di euro, conferma la scarsa competitività del sistema economico francese.

La prospettiva di una omogeneizzazione normativa nel campo del diritto d’impresa e la realizzazione di progetti congiunti in numerosi settori, dalla transizione energetica alle nuove tecnologie informatiche, non può nascondere la profonda differenza tra le due economie: la Germania ha industrie prevalentemente nazionali, e si avvale del basso costo del lavoro nei Lander orientali ed in una serie di Paesi subfornitori tra cui l’Italia, per integrare la propria catena produttiva. E sostiene la deflazione salariale in questi Paesi europei per poter acquistare prodotti a prezzi sempre più convenienti, trattenendo per sé la differenza sul prezzo finale. La Francia, al contrario, ha un sistema produttivo fortemente accentrato e le multinazionali vi si insediano per soddisfare il solo fabbisogno locale, lucrando consistenti profitti.

L’esempio emblematico della cooperazione industriale franco-tedesca è la joint venture di costruzioni aeronautiche Airbus, che ha sedi produttive sia in Francia che in Germania, principalmente a Tolosa e ad Amburgo: le vendite dei velivoli vengono contabilizzate separatamente nei conti del commercio estero dei due Paesi, con una specifica voce doganale. Si tratta di un esempio sicuramente positivo, ma isolato: ogni volta che le aziende dei due Paesi hanno cercato di fare acquisizioni oltre frontiera, sono scoccate scintille. Tornando indietro nel tempo, con un esito tutt’altro che positivo, c’è stata nel 1999 la creazione di Aventis, nata dalla fusione tra la Hoechst e la Rhône-Poulenc, che è durata appena sei anni, prima di essere assorbita dalla francese Sanofi. Niente di fatto, poi, nel caso delle trattative nel settore nucleare tra Areva e Siemens, così come per la fusione delle Borse di Parigi, Francoforte.

Per non parlare della impossibile fusione tra France Telecom e Deutsche Telekom. Sono questioni di Stato, non solo occupazionali, come è accaduto nel caso della fusione tra la componente mobilità della Siemens e la Alstom, nel 2017, dopo la furiose polemiche politiche che avevano accompagnato la cessione da parte di quest’ultima delle attività nel settore dell’energia all’americana GE. Non ha fatto scalpore invece, sempre nel 2017, l’acquisto da parte di Peugeot della tedesca Opel insieme alla britannica Wauxhall, cedute entrambi dalla General Motors: per i tedeschi era più un peso che altro. Nel settore energetico, ci sono ancora in ballo diverse combinazioni, tra RWE, Engie, ed E.On.

La questione dei cantieri navali è tornata di recente alla ribalta, dopo la richiesta francese e tedesca all’Antitrust europeo di verificare la compatibilità dell’accordo Fincantieri-STX: qui, ci sarebbero sia le imprese tedesche del settore che vedono con scarso favore un blocco italo-francese, sia le prospettive di costruire naviglio militare nella prospettiva franco tedesca di una cooperazione stretta nell’industria della difesa. Anche nel settore della componentistica elettronica, c’è da capire quale potrà essere una strategia di avvicinamento alla tedesca Infineon da parte della italo-francese ST-Microelectronics.

A parole, sembra tutto facile: il “volemose bene” tra Francia e Germania nasconde una realtà estremamente più complessa e conflitti di interessi ancora più difficili da comporre.

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