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Pensioni

Pensioni, ecco effetti e tagli con la quota 100

L'analisi dell'editorialista Giuliano Cazzola, esperto di welfare

L’Ufficio parlamentare del bilancio (Upb), durante l’audizione del presidente Giuseppe Pisauro ha depositato, presso le Commissioni Bilancio riunite, un documento di grande interesse sulla manovra nel suo insieme. Innanzitutto l’Upb, in premessa, ci tiene a ricordare che le previsioni programmatiche per il 2019, a differenza del quadro macroeconomico tendenziale 2018-19, poi pubblicato nella NADEF il 27 settembre scorso, non sono invece state validate dall’UPB.

CHE COSA HA MESSO PER ISCRITTO L’UPB

“Tale valutazione – si legge – discende dai significativi e diffusi disallineamenti sulle principali variabili del quadro programmatico rispetto al panel di previsori UPB, non soltanto con riferimento ai volumi ma anche ai prezzi; nel complesso, gli scostamenti sulla dinamica del PIL nominale sono rilevanti”.

LE DIVERGENZE SULLE STIME DELLA CRESCITA

L’altro rilievo critico riguarda la previsione di crescita. L’Upb stima, come tutti gli osservatori nazionali ed internazionali, che quanto indicato nel disegno di legge sia sovrastimato. “Per realizzare – afferma la nota – una crescita del PIL nel 2019 pari all’1,5 per cento, anche scontando un’accelerazione nel quarto trimestre più marcata (0,2 per cento) di quella da noi stimata nello scenario di base, occorrerebbe una forte e rapida ripresa della dinamica produttiva; il PIL dovrebbe infatti aumentare per tutti e quattro i trimestri dell’anno prossimo dello 0,5 per cento (sequenza che non si realizza in Italia dalla fine degli anni novanta)”.

ECCO NOVITA’ E PERPLESSITA’ SULLE PENSIONI

Ma l’attenzione dei media si è rivolta pressoché esclusivamente alla parte dedicata alle pensioni gettando un allarme diffuso sulla possibile penalizzazione dell’assegno dei pensionati che aderiscano a quota 100. Ma andiamo direttamente al testo: “Una forma di disincentivo – sta scritto – è tuttavia già incorporato nelle regole di calcolo delle prestazioni pensionistiche e potrebbe rappresentare un deterrente all’uscita anticipata: a ogni anno di anticipo dell’uscita dal mercato del lavoro, in ragione dei minori versamenti contributivi realizzati, corrisponde un minore importo annuo lordo della pensione e, di conseguenza, della rendita pensionistica complessiva (ossia il valore attuale della somma delle pensioni percepite nella vita). La riduzione – prosegue il documento – è crescente all’aumentare degli anni di anticipo rispetto al requisito Fornero”.

I NUMERI SU PENSIONI E QUOTA 100

Le percentuali, indicate in un’apposita tabella, sono importanti: vanno dal 5% ad oltre il 30%. Occorre spiegare che si tratta di un lucro cessante e non di un danno emergente. In sostanza, chi aderisse a quota 100 (precisiamo: per ora sono solo chiacchiere perché in finanziaria non vi è uno straccio di norma in proposito) percepirebbe un trattamento inferiore a quello corrispondente ad un pensionamento secondo le regole previste dalla riforma del 2011.

CHE COSA SUCCEDERA’ CON LA QUOTA 100

La ragione è abbastanza ovvia: ai lavoratori in pensione con quota 100 basterebbe far valere solo 38 anni di versamenti. Con i requisiti Fornero, nel 2019 ce ne vorrebbero (a prescindere dall’età anagrafica) almeno 43 anni e 2 mesi se uomini (un anno in meno se donne). Occorre altresì tener conto che tutte le pensioni dal 2012 contengono una quota (di almeno sette anni) da calcolare col regime contributivo.

IL FATTORE ETA’ ANAGRAFICA

Per questo computo è molto importante l’età anagrafica, in quanto il coefficiente di trasformazione (ovvero il moltiplicatore del montante contributivo) cresce in relazione all’età del ritiro in quiescenza. Non c’è quindi un taglio rispetto a quanto dovuto sulla base di quota 100 (62 anni di età più 38 di contributi), ma semplicemente una pensione più bassa perché sostenuta da un’anzianità inferiore a quella richiesta dalle regole vigenti.

PERCHE’ IL DIFFERENZIALE AUMENTA

Perché, col passare degli anni da uno a cinque, questo differenziale aumenta? Per il semplice motivo che i requisiti (sia anagrafici che contributivi) previsti dalla riforma Fornero crescono in collegamento automatico con l’incremento dell’attesa di vita. Nel 2025, ad esempio, il requisito Fornero sarà pari a 43 anni e 11 mesi (un anno in meno le donne). Sembra evidente – senza bisogno di troppe spiegazioni – che, se si lavora di meno e si va in pensione prima, l’assegno sarà più basso.

PROBLEMI E PROSPETTIVE SULLE PENSIONI

Lavorare più a lungo non risponde solo ad esigenze di sostenibilità del sistema, di equilibrio del mercato del lavoro, ma è anche la migliore garanzia per un’adeguatezza dei trattamenti. Se tale aspetto del problema è sfuggito, nel clima di demagogia che opprime il Paese, non possiamo farci nulla. Tanto più che quanti si avvarranno di quota 100 percepiranno – prima e per un maggior numero di anni – la pensione loro spettante. Secondo l’Upb questo anticipo ridurrebbe il minore importo percepito rispetto al modello Fornero di una percentuale compresa in un arco che va dal 5% all’8% a seconda del numero di anni dell’anticipo stesso.

Non è il caso, allora, di versare lacrime per quelle centinaia di migliaia di lavoratori che, andando in quiescenza poco più che sessantenni, intaseranno il sistema per decenni a scapito dei contribuenti futuri. Non pretenderanno mica di avere la botte piena e la moglie o il marito ubriachi?

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