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Parità Euro Dollaro

Parità Euro-Dollaro. Fatti, numeri, problemi e scenari 

L'analisi di Richard Flax, Chief Investment Officer, Moneyfarm

 

Per la prima volta in vent’anni, l’Euro ha raggiunto la parità con il Dollaro. La guerra in Ucraina e la conseguente interruzione della fornitura di energia, combinate con un’inflazione già elevata e un rallentamento dell’economia, hanno visto l’Euro scivolare a livelli mai visti da quando la valuta comune muoveva i primi passi. Sebbene i titoli dei giornali siano allarmanti, Moneyfarm non è ancora convinta che sia necessario intraprendere un’azione significativa sui suoi portafogli e ritiene che il movimento potrebbe persino avvantaggiare gli investitori.

I rischi per l’Euro

L’Eurozona deve affrontare una lunga lista di problemi. L’inflazione (8,6% annualizzato a giugno) è ai massimi dal lancio della moneta unica, la fiducia di imprese e consumatori è in calo. Mentre alcuni di questi problemi possono essere attribuiti alla difficoltà di rilanciare l’economia dopo la chiusura indotta dal Covid, il conflitto in Ucraina e la rottura delle relazioni con la Russia hanno versato petrolio (ora molto costoso) sul fuoco. L’Europa è molto dipendente dalla Russia sul fronte dell’energia e questo potrebbe portare all’“inverno del nostro scontento” in Europa, con l’aumento dei prezzi dell’energia che si ripercuote sui consumatori, aumentando ulteriormente i timori di inflazione e, in definitiva, mantenendo un’elevata pressione ribassista sull’Euro.

Un Euro in calo segnala anche la crescente mancanza di fiducia nella forza economica europea e nel progetto europeo nel suo insieme. In questo senso, non solo le aspettative di crescita per il blocco sono state costantemente riviste al ribasso da inizio anno, ma l’atteggiamento aggressivo della BCE ha fatto salire i differenziali di rendimento tra i paesi “centrali” e quelli “periferici”, sollevando noti timori sul progetto della moneta unica e, quindi, il deprezzamento dell’Euro nei confronti delle altre valute.

Le ragioni della forza del Dollaro

Dall’altra parte dell’Atlantico, il Dollaro regna sovrano: il 2022 finora è stato un anno da dimenticare per la maggior parte degli asset, ma il biglietto verde non è uno di questi. L’economia statunitense ha ancora un livello di occupazione molto alto, nonché una fiducia superiore da parte di consumatori e imprese rispetto ad altre economie sviluppate.

La Federal Reserve quest’anno ha iniziato ad agire per combattere l’inflazione. Data la relativa forza economica degli Stati Uniti, la Fed è stata in grado di aumentare rapidamente i tassi (quest’anno già saliti da 0 – 0,25% a 1.50 – 1,75%). A titolo di confronto, la Banca d’Inghilterra (BoE) ha iniziato ad aumentare i tassi prima della Fed, ma l’economia più debole del Regno Unito ha costretto la BoE a un percorso più moderato di rialzi, mentre la BCE deve ancora aumentarli, ma ha comunicato che comincerà proprio nel mese di luglio. I mercati hanno accolto positivamente questa decisione della Fed e il Dollaro USA si è rafforzato quest’anno.

Insomma, gli investitori sembrano credere che la Federal Reserve sia in grado di controllare meglio l’inflazione rispetto alle altre principali banche centrali, portando così un numero maggiore di investitori a cercare “riparo” nel Dollaro o nelle attività denominate in dollari. Anche se è probabile che nel lungo termine il Dollaro rinunci ad alcuni di questi primati, le altre banche centrali normalizzino i tassi di interesse e l’inflazione scenda, per il momento gli investitori stanno estendendo un voto di fiducia alla Fed, ma non alla BCE o alla BoE.

L’opinione di Moneyfarm

Christine Lagarde affronta un percorso difficile alla BCE. Sebbene alcuni paesi, o addirittura regioni, mostrino piccoli segnali di stabilizzazione dell’inflazione, i dati del mese scorso sopracitati sembrano indicare la necessità di una risposta forte da parte della BCE. Tuttavia, è improbabile che tassi di interesse più elevati siano benvenuti in un’economia già in sofferenza, soprattutto se la crisi energetica peggiorerà con l’avvicinarsi dell’inverno. I mercati prevedono attualmente una recessione nell’Eurozona nei prossimi 12 mesi con una probabilità maggiore rispetto agli Stati Uniti, anche se alcune delle cause principali sembrano attenuare la loro intensità.

Alcuni prezzi delle materie prime hanno iniziato a scendere. Poiché queste diminuzioni di prezzo si trasmettono sulle spese dei consumatori, ciò dovrebbe iniziare a favorire la caduta dell’inflazione. Il generale sentimento negativo, recessione o meno, dovrebbe iniziare a colpire anche la domanda in Europa. Se questi fattori miglioreranno, le prospettive per l’inflazione e la salute economica dell’Europa o quando la BCE inizierà a normalizzare la politica monetaria, l’Euro potrebbe iniziare a recuperare alcune delle sue perdite.

Sebbene gli Stati Uniti siano una grande forza nell’economia globale e costituiscano gran parte dei nostri portafogli, non sono l’unica valuta a cui i nostri questi sono esposti. L’Euro è sceso rispetto ad altre valute, ma non così tanto. Ancora una volta a dimostrazione del fatto che il movimento EUR/USD sia stato causato tanto da ciò che sta accadendo negli Stati Uniti quanto da ciò che sta vivendo l’Europa. Sebbene l’economia statunitense stia ancora mostrando segni di forza (se non di surriscaldamento), una recessione nel 2023 è ancora possibile e potrebbe portare a un’inversione della forza dell’USD che abbiamo visto finora nel 2022.

Infine, l’impatto della caduta dell’Euro potrebbe non essere negativo per gli investitori europei. Qualsiasi attività che gli investitori con sede nell’Eurozona realizzano all’estero avrà beneficiato della debolezza dell’Euro: quando questo scende, le loro partecipazioni all’estero aumentano di valore (a parità di altre condizioni). Ciò significa che la performance di qualsiasi attività in USD (quindi azioni o obbligazioni statunitensi) detenuta dagli investitori in Europa è stata avvantaggiata dal deprezzamento dell’Euro.

Per il momento, dati il contesto macroeconomico altamente incerto e la volatilità del mercato, riteniamo che il Dollaro possa ancora essere un utile “bene rifugio” da detenere. Continueremo a monitorare i dati sull’inflazione e la narrativa delle banche centrali, per valutare se alcuni dei fattori che contribuiscono all’apprezzamento del Dollaro inizieranno a indebolirsi.

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