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Tencent Videogiochi Smartphone

Le bizze cinesi sui videogiochi causano a Tencent il primo calo nei ricavi

I continui attacchi del Partito comunista ai videogiochi e le liste di proscrizione dei titoli banditi fanno perdere parecchi soldi al colosso Tencent, che ormai ha nella divisione games oltre un quarto delle proprie entrate

Se la Cina negli anni non avesse più volte attaccato i videogiochi, probabilmente la maggior parte delle software house occidentali oggi sarebbe in mano a Tencent, società per azioni fondata nel 1998 e presieduta da Ma Huateng, le cui controllate forniscono i servizi più variegati nel campo dell’intrattenimento, mass media, internet e telefoni cellulari.

Da quando il colosso cinese è entrato nel comparto dei videogiochi ha finito per dominarlo: nel 2021, anche grazie a marchi per casual gamer molto amati da chi gioca su smartphone come PUBG, Valorant, Brawl Stars e Clash of Clans, ha incassato 32,94 miliardi di dollari, superando di gran lunga la giapponese Sony, che nel settore videoludico è attiva da circa 30 anni.

GLI ULTIMI ACQUISTI DI TENCENT TRA GLI SVILUPPATORI DI VIDEOGIOCHI OCCIDENTALI

Forse, se la Cina non continuasse a demonizzare i videogame, Tencent non possiederebbe proprio la maggior parte delle software house occidentali, ma quasi sicuramente le più grandi. Sono anni, per esempio, che il colosso cinese ha nel mirino Ubisoft, multinazionale francese con studi ormai ovunque nel mondo, da Milano alla Cina, passando per Abu Dhabi, con IP come Prince of Persia, Rayman, Assassin’s Creed, Far Cry, Rainbow Six e Just Dance, giusto per citare i titoli più noti.

I risultati finanziari dell’etichetta francese nell’ultimo periodo non sono stati eccellenti, tanto da provocare lo slittamento di diversi videogame e una forte stretta nelle spese delle varie filiali e così Tencent nelle ultime settimane si è rifatta avanti con la famiglia Guillemot, che col 15% ha in mano le chiavi della società. Secondo Reuters, il colosso asiatico che ha già acquistato una quota di partecipazione in Ubisoft del 5% nel 2018 avrebbe espresso nuovamente l’interesse di aumentare le sue quote azionarie nell’azienda dell’attuale valore di 5,3 miliardi di dollari, puntando a diventare l’azionista di maggioranza.

Non sappiamo se il matrimonio coi francesi si farà mai, nel frattempo Tencent si è “accontentata” di fare shopping di software house come Inflexion Games, etichetta con sede a Edmonton, in Canada, composta da ex membri di BioWare, a iniziare dal CEO Aaryn Flynn, che ha firmato saghe di successo del calibro di: Mass Effect, Dragon Age e Star Wars: The Old Republic e PlayTonic, che invece si compone di ex Rare (software house britannica che negli anni ’90 firmò capolavori come Donkey Kong Country, 007 GoldenEye, Perfect Dark, Banjo-Kazooie), ridimensionata nel talento dopo l’acquisto da parte di Microsoft, sebbene negli ultimi tempi abbia sfornato il divertente Sea of Thieves.

In PlayTonic troviamo ex Rare come Gavin Price (capo dell’azienda), Chris Sutherland (principale programmatore di Donkey Kong Country) e Steve Mayles. Proprio l’investimento cinese permetterà ai britannici di sviluppare un terzo capitolo del loro Yooka-Laylee, platform 3D che si rifà in modo plateale a uno dei videogiochi più amati di Rare d’epoca Nintendo 64: Banjo-Kazooie.

LA NUOVA CONSOLE CLOUD

È passata sotto silenzio, dato che è stata divulgata in pieno agosto, la notizia della partnership tra Logitech G e Tencent Games finalizzata alla creazione di una console portatile interamente basata sul cloud gaming e che supporterà molteplici servizi che sfruttano questa tecnologia, inclusi Xbox Game Pass e Nvidia GeForce Now.

 

“Logitech G e Tencent Games condividono una visione comune del futuro dei giochi e si impegnano a garantire che la qualità dell’esperienza si unisca perfettamente per mantenere l’entusiasmante promessa rappresentata dal gaming via cloud”, hanno fatto sapere le due compagnie, che invece nulla dicono nulla su prezzo e periodo di lancio della loro piattaforma.

“Il cloud gaming utilizza i server del data center per lo streaming di videogiochi per i consumatori. Non è necessario scaricare o installare giochi per PC o console. Al contrario, i giochi vengono renderizzati e giocati su server remoto e gli utenti interagiscono con essi localmente sui propri dispositivi”.

QUANTO INCASSA TENCENT COI VIDEOGIOCHI?

Insomma, per spenderci così tanti soldi, Tencent deve aver visto nei videogiochi la proverbiale gallina dalle uova d’oro. E in effetti i numeri le danno ragione se si considera che lo scorso anno Tencent ha incassato 32,94 miliardi di dollari, principalmente grazie a videogiochi mobile tra cui PUBG, Valorant, Brawl Stars e Clash of Clans.

Una cifra spropositata se si pensa che le veterane del settore sono assai più indietro. Sony si ferma a 24,87 miliardi di dollari, Microsoft a 16,28 miliardi e Nintendo a 15,3. Insomma, oltre un quarto del fatturato di Tencent deriva proprio dai videogiochi: la sua principale rivale in patria, NetEase è in quinta posizione nella classifica delle software house che fatturano di più, con 8,37 miliardi incassati nel 2021.

IL GAME OVER IMPOSTO DAL PARTITO COMUNISTA

Eppure, il fatturato di Tencent del secondo trimestre è sceso del 3% a 134 miliardi di yuan (19,8 miliardi di dollari) rispetto al medesimo periodo del 2021, mentre i profitti sono precipitati perfino del 56% a 18,6 miliardi di yuan. Tencent è già corsa ai ripari, tagliando circa 5.500 posti di lavoro e scendendo a 110.715 dipendenti alla fine di giugno, il primo calo trimestrale della forza lavoro dal 2014.

Tra le cause principali, la guerra che il partito comunista è tornata a muovere ai videogame. Quando lo scorso anno l’Economic Information Daily, giornale cinese affiliato all’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, house organ di governo, paragonò i videogiochi a “oppio dello spirito” definendoli “droghe elettroniche” Tencent in un solo giorno lasciò sul campo il 10,57% a Hong Kong, NetEase il 15,7%.

NESSUN NUOVO TITOLO DI TENCENT GAMES HA OTTENUTO L’IMPRIMATUR

In Cina la pubblicazione dei videogiochi non è libera: è il governo a stabilirla mediante apposite liste. Ad aprile Pechino ha ricominciato ad aggiornarle, inserendo nuovi titoli, ma nessun nuovo gioco di Tencent è finito nell’elenco dei videogiochi ammessi il che significa che l’azienda deve fare affidamento su titoli più vecchi e ormai di minore appeal come “Honor of Kings” per ottenere entrate.

Da parte sua, Tencent ha dichiarato che il mercato cinese dei videogiochi sta affrontando “sfide di transizione”, mentre il mercato internazionale si trova in un “periodo di digestione post-pandemia”, in quanto la gente, potendo nuovamente uscire, ha ripreso a spendere in altre forme di intrattenimento. Ma la spiegazione non soddisfa pienamente, perché sebbene effettivamente la Cina continui a essere interessata da imponenti lockdown locali, l’Occidente per fortuna si è lasciato alle spalle il periodo delle restrizioni per Covid dalla fine del 2021, dunque lo scalino nelle vendite, che innegabilmente c’è stato, si è in realtà sentito nel 2022. Quello che la compagnia non può dire è che il Partito comunista le sta sottraendo un mercato sterminato di circa 1,5 miliardi di potenziali gamer: il popolo cinese.

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