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Bonomi

Il Fatto travaglieggia su Bonomi di Confindustria per il Sole 24 Ore

Nel botta-e-risposta fra Bonomi e Conte, si inseriscono oggi il vicepresidente di Confindustria per il fisco con un'intervista al Corriere della Sera e il Fatto Quotidiano che con il giornalista Pavesi pizzica le capriole confindustriali su Stato e mercato

 

Tentativi di ricucitura fra governo e Confindustria dopo le critiche del neo presidente Carlo Bonomi (“Questa politica rischia di fare più danni del Covid”) e la risposta del premier Conte (“espressione infelice”)?

Chissà. Sta di fatto che la odierna intervista del vicepresidente di Confindustria per fisco, credito e finanza al Corriere della Sera ha toni diversi rispetto a quella giorni di Bonomi a Repubblica.

Il premier Conte intende condividere il piano di rilancio del Paese con il mondo delle imprese. E’ quello che chiedeva Confindustria. “Ci pare un modo di procedere corretto — spiega oggi in una intervista al Corriere della Sera Emanuele Orsini, vicepresidente di Confindustria per fisco, credito e finanza — . Tanto piu’ in questa fase, con il Paese che sta affrontando un passaggio da cui dipende il futuro nostro e dei nostri figli”.

Il presidente Carlo Bonomi ha detto che ‘la politica e’ peggio del Covid’. Una valutazione che il ministro Gualtieri e il premier Conte hanno rispettivamente giudicato ‘ingenerosa’ e ‘infelice’. “Credo si tratti di una polemica gia’ superata, come ha detto ieri lo stesso ministro Gualtieri. Da parte mia posso solo far notare che l’industria di questo Paese viene da anni di interlocuzioni mancate con la politica. E sottolineo: con la politica in generale. Il grande sostegno con cui Bonomi e’ stato eletto mostra quanto questo sentire sia condiviso”. Il premier Conte ha sfidato Confindustria sul terreno delle proposte. “Se c’e’ una cosa che non ci manca sono le proposte. Il presidente le presenterà nella sede e nel momento appropriati”.

II taglio dell’Irap a giugno premia le imprese che continuano a fare utili nonostante la crisi. Le altre invece… “Il meno 10 per cento del Pil che ci si attende per quest’anno e’ uno tsunami che miete vittime e farà tanti feriti. L’Irap la pagano anche le imprese in perdita e l’abbuono di giugno premia anche le imprese fortemente indebitate che stanno pagando interessi passivi. E poi, da quando sostenere le imprese che pagano le tasse e’ diventato un disvalore?”. Confindustria aveva chiesto la moratoria su tutta l’Irap per il 2020. “Siamo ancora convinti che sia questa la strada”. L’Irap finanzia la sanità. “Pensare che la sanità si finanzi con i 13,5 miliardi dell’Irap dei privati e’ un sogno. Meno del 12 per cento della spesa sanitaria e’ finanziato con l’Irap. Non dimentichiamo che per la sanità potremo utilizzare i fondi Ue. Le imprese non si tirano indietro quando e’ l’ora di pagare le tasse. Prima pero’ devono essere messe in condizione di fare utili”.

Ma oggi è il Fatto Quotidiano a prendere le difese di Conte e a criticare le contraddizioni sul turbo-liberismo invocato dal nuovo vertice di Confindustria.

Ecco un estratto dell’articolo di Fabio Pavesi, giornalista di lungo corso esperto di economia e finanza, già firma del quotidiano il Sole 24 Ore.

L’affondo a un “governo e a una politica che sono più dannosi del Covid” è stato perentorio. Per Carlo Bonomi, neo presidente di Confindustria, è tutto da rifare. Basta con i soldi a pioggia, stop alla spesa pubblica; più produttività, contratti nazionali da riscrivere e un piano di investimenti in grandi opere infrastrutturali da “sbloccare”. In fondo una ricetta buona per tutte le stagioni, che dimentica l’urgenza e l’eccezionalità della crisi sanitaria ed economica. Ma mentre l’esponente di spicco dell’imprenditoria italiana, elargisce alla politica la sua lezione, dovrebbe al contempo guardare in casa propria.

Ma Bonomi nel suo ricettario liberista anti-crisi, che vede lo Stato in pista solo quando serve, cioè quando le cose vanno male, salvo poi lasciare strada spianata al laissez faire, omette il disimpegno di quegli imprenditori che da anni staccano fior di dividendi all’estero. Un caso eclatante sono i fratelli Rocca, tra i suoi grandi sponsor nell’elezione a capo di Assolombarda prima e poi degli imprenditori italiani. I Rocca, via Tenaris domiciliata in Lussemburgo, si sono dati oltre 3 miliardi di euro in dividendi tra il 2014 e il 2018. Sono in buona compagnia con gli Agnelli, i Ferrero e altri campioni dell’imprenditoria italiana che hanno munto dividendi tra Olanda e Lussemburgo per oltre 8 miliardi negli ultimi anni. Soldi che escono dal sistema Italia, per non farvi più ritorno.

Nell’afflato polemico contro il governo, Bonomi dimentica anche il vizietto antico di molta classe imprenditoriale di bussare allo Stato, quando si mette male. L’esempio ce l’ha in casa. Il Sole 24 Ore, il quotidiano edito dalla Confindustria, chiederà l’ennesimo stato di crisi a carico dello Stato. Il costo del lavoro dei giornalisti va tagliato del 25% per far fronte alla crisi. Quindi l’ennesimo giro di cassa integrazione, e/o solidarietà e ammortizzatori pubblici.

Non solo, il giornale di Confindustria chiederà di usufruire del decreto Liquidità per avere la garanzia pubblica Sace sui prestiti bancari, che evidentemente non rientrano tra i tanto esecrati aiuti “a pioggia”. Peccato che Bonomi non dica che in pancia a Confindustria ci sono ben 14 milioni di liquidità investiti in polizze e ben 50 milioni di riserve. Anziché chiedere l’aiuto pubblico, Confindustria potrebbe usare la sua liquidità per supportare il suo giornale in crisi.

Quanto ai debiti non pagati della Pubblica amministrazione verso le imprese, altro cavallo di battaglia degli imprenditori, anche qui un po’ di compiti a casa non guasterebbero. Il Sole ha debiti commerciali scaduti per 5,9 milioni. Pagare i fornitori potrebbe essere un buon esempio. Non solo, Confindustria non spicca per coerenza quando c’è da far di conto.

Il Sole 24 Ore è iscritto nel bilancio dell’associazione a 89 milioni di euro, come se fosse normale per un giornale che va in rosso già a livello di margine lordo, che ha patrimonio per soli 31 milioni e che capitalizza in Borsa solo 25 milioni di euro.

Quando c’è da far di conto sui propri asset, Confindustria è di manica larga. Salvo poi alzare il ditino e impartire lezioni a tutto campo.

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