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Banca D'Italia

Ecco cosa non va nell’Unione bancaria europea. L’analisi (a sorpresa) di Rossi della Banca d’Italia

Pubblichiamo un estratto e il testo integrale dell'intervento tenuto oggi a Modena da Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d'Italia e presidente dell'Ivass (Istituto di vigilanza sulle assicurazioni

L’Unione bancaria nell’area dell’euro è la tappa più recente di un lungo percorso. Il progetto europeo di integrazione e unificazione nasce nel secondo dopoguerra con una finalità insieme ambiziosa e pragmatica: ambiziosa per l’obiettivo di garantire pace e prosperità ai cittadini europei dopo secoli di sanguinosi scontri; pragmatica perché si decise di avviare il processo partendo dall’economia, anziché avventurarsi sul ben più insidioso terreno della politica. Eppure il valore politico del progetto è stato evidente sin dall’inizio; per Monnet rappresentava la sua “direzione di marcia”.

Il Trattato di Roma, di cui si è celebrato il 60° anniversario lo scorso anno, ne ha rappresentato la prima pietra miliare. L’unificazione monetaria, ripresa negli anni Novanta del secolo scorso dopo un primo abortito tentativo messo in atto alla fine degli anni Sessanta, ha segnato il conseguimento di un obiettivo ancora più ardito.

L’euro è stato adottato il 1° gennaio 1999 grazie all’impegno profuso da uomini di Stato e personalità del calibro di Ciampi, Delors, Kohl, Mitterand e Padoa-Schioppa, tutti appartenenti a una generazione che non aveva dimenticato le guerre in Europa. Si trattava di una sfida enorme, tenendo conto anche del fatto che gran parte del mondo accademico, in particolare negli Stati Uniti, riteneva il progetto sbagliato in punto di teoria economica e politicamente fragile. Tuttavia, per oltre un decennio, il bilancio dell’esperienza in termini di costi e benefici è apparso positivo.

La vera sfida per l’unione monetaria europea è sopraggiunta con la crisi del debito sovrano, all’inizio di questo decennio. Sulla scia della rivelazione di quali fossero le reali condizioni delle finanze pubbliche in Grecia, la crisi si è rapidamente trasformata in crisi di fiducia tra i paesi europei: un primo gruppo di paesi (opinione pubblica, governi e persino banche centrali nazionali) ha iniziato a temere che, in virtù della moneta unica, gli sperperi di altri paesi venissero finanziati col denaro dei propri contribuenti; un secondo gruppo di paesi accusava quelli del primo gruppo di imporre a tutti politiche eccessivamente “austere”, sempre in nome della moneta unica.

I mercati hanno interpretato tali contrasti come il segnale che gli europei non considerassero più l’euro come una realtà indiscutibile, mettendone anzi in dubbio l’irreversibilità. La possibilità di “ridenominare” il debito pubblico riportando in vita le valute nazionali, sebbene remota, ha cominciato a farsi strada e gli spread sono aumentati a dismisura, di riflesso alle aspettative di svalutazione/ rivalutazione.

Le banche dei paesi economicamente deboli, nei cui bilanci erano presenti elevate quantità di titoli pubblici nazionali, sono incorse in forti perdite per effetto del minor valore di mercato di questi ultimi. L’eventualità di misure di salvataggio pubblico generalizzate per le banche di quei paesi ha aggravato i timori di un’evoluzione insostenibile delle loro finanze pubbliche, instaurando un circolo vizioso. Si è trattato di una crisi politica mascherata da crisi finanziaria.

L’Unione bancaria è stata inizialmente concepita come risposta a tale situazione. L’idea era quella di stabilire il principio secondo cui le banche europee sono innanzitutto europee: se una di esse si trova in difficoltà, il problema riguarda l’intera Europa, non solo il paese in cui la banca risiede. L’effettiva attuazione del progetto ha preso una direzione diversa.

È stato realizzato, innanzitutto, il presupposto della vigilanza unica: a partire dal 2014 le banche “significative” sono vigilate da un’unica autorità a livello europeo (il Meccanismo di Vigilanza Unico, MVU, che opera da Francoforte).

Poi è stato completato il tassello principale del nuovo regime: dal 2016 le banche non possono più essere salvate con il denaro dei contribuenti; in caso di grave difficoltà, esse vengono sottoposte a bail in – ovvero salvate ma sacrificando azionisti e creditori privati – sotto la supervisione di un’altra autorità europea (il Meccanismo di Risoluzione Unico, MRU, che opera da Bruxelles) o poste in liquidazione.

Infine, uno schema comune di assicurazione dei depositi di là da venire dovrebbe rimborsare i piccoli depositanti di banche liquidate, ma con denaro proveniente dal resto del sistema bancario, non dai contribuenti.

La proposta di un meccanismo di protezione pubblico per il Fondo di risoluzione unico e per il sistema comune di assicurazione dei depositi è stata, di fatto, accantonata.

In sostanza, le banche sono divenute europee solo in un senso, ovvero in quanto vigilate e sottoposte a risoluzione a livello europeo. Il circolo vizioso tra settore bancario ed emittenti sovrani non è stato spezzato, tuttavia alle banche è stata imposta una camicia di forza volta a garantire che, in caso di fuga dai titoli di Stato emessi da un sovrano, le banche di quel paese non verranno salvate dai contribuenti, di quello stesso paese o di altri.

In termini ancora più espliciti, a un contribuente tedesco non si potrà mai chiedere di finanziare il salvataggio di una banca italiana in crisi per il peso, nel proprio bilancio, di titoli di Stato italiani in rapida discesa sui mercati. In un caso simile, sarebbero i creditori della banca, prevalentemente italiani, a farsene carico. E non si pone neanche la questione dell’irreversibilità dell’euro, poiché il caso della Grecia dimostra che uno stato sovrano può fallire anche senza abbandonare l’euro.

La valutazione dei risultati dell’Unione bancaria non può prescindere da un’analisi del percorso del progetto di integrazione e unificazione europee, del contesto interno ed esterno e delle motivazioni e dei vincoli politici. Non va trascurato il fatto che, negli ultimi anni, si è diffuso in alcuni paesi un forte sentimento anti-europeo in cui critiche, talvolta anche fondate, alla costruzione europea si combinano con clamori populistici.

QUI IL TESTO INTEGRALE DELL’INTERVENTO DI ROSSI

DI SEGUITO ALCUNI TWEET SIGNIFICATIVI DI MARCO VALERIO LO PRETE, GIA’ CAPO ECONOMIA E FINANZA AL FOGLIO E ORA AL TG1:

 

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