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Consob, Savona e gli antichi scazzi con Draghi

Che cosa cela la questione del contratto dei dipendenti della Consob al centro di una corrispondenza fra il presidente dell'authority, Paolo Savona, e Palazzo Chigi dove ora c'è il presidente del Consiglio, Mario Draghi. L'articolo di Marcello Zacché del quotidiano Il Giornale

 

Da un paio di giorni gira la voce delle possibili dimissioni di Paolo Savona dalla presidenza della Consob.

I rumors sono rimbalzati sul Corriere della Sera, con due articoli consecutivi senza che ci siano state smentite o precisazioni.

Secondo il quotidiano milanese della Rcs di Urbano Cairo, Savona avrebbe posto la questione del contratto dei dipendenti Consob al primo posto della sua agenda: secondo la legge istitutiva della Authority per le società e la Borsa, ai suoi dipendenti si applica il contratto della Banca d’Italia. Ma per ottenerlo serve l’ok del governo.

Ed è su questo punto che Savona avrebbe posto un aut aut, mettendo sul tavolo le sue dimissioni. Per l’84enne economista cagliaritano si tratterebbe di lasciare dopo soli due anni un mandato che dura sette, fino al marzo del 2026, quando avrà 89 anni.

Fonti vicine a Consob descrivono Savona tranquillo, per nulla turbato da queste voci e impegnato a compilare la relazione 2020 sull’attività della Commissione da presentare al Mef entro il 31 marzo. E fanno anche notare che la questione del contratto non è certo nuova, trascinandosi almeno dalla presidenza di Giuseppe Vegas.

Secondo fonti finanziarie e di palazzo, il punto sarebbe allora un altro, tutto politico. Il presidente Consob è nominato con decreto del Quirinale su proposta del presidente del Consiglio. Sarebbe dunque una nomina Draghi-Mattarella per un ruolo tra i più preziosi e delicati di questa fase istituzionale: dalla Consob passano tanto i dossier di mercato e bancari, come il riassetto Mps, quanto quelli di potere, come le manovre finanziarie su Generali. E Savona non è certo la personalità che garantisce sintonia con l’attuale governo.

La nomina, nel marzo 2019, deriva dalla sua partecipazione al governo sovranista gialloverde, di cui era stato ministro per gli Affari europei. Un ripiego, perché la sua destinazione originale al Mef era stata bloccata da Mattarella per le posizioni antieuro che Savona rappresentava e che gli sono poi rimaste cucite addosso.

Non certo l’ideale per l’esecutivo europeista guidato ora da Draghi, che qualcuno ha individuato, nel 2018, come il grande ispiratore di quel veto del Quirinale. Con l’ex presidente della Bce non corre buon sangue da oltre 40 anni. Entrambi allievi di Guido Carli e Ciampi boys, Savona e Draghi, da colleghi o rivali, si sono spesso scontrati su tante dispute economiche, non ultima proprio quella sulle regole e l’adozione dell’euro.

Resta agli atti che, nel 2005, quando Draghi diventa governatore di Bankitalia, tra le sue prime decisioni c’è la soppressione dell’Associazione Guido Carli, di cui Savona era segretario generale. Mentre il professore sardo non ha mai smesso di scrivere interventi critici sulla Bce di Draghi.

Gli elementi perché la sfida continui ci sono tutti. Vedremo presto come andrà a finire. E se un ruolo lo potrà assumere anche Francesco Giavazzi, il consulente economico appena chiamato da Draghi al governo. Economista, professore. Ed editorialista del Corriere della Sera.

(Estratto di un articolo pubblicato su ilgiornale.it)

 

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