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Lockdown

Come l’Italia deve ripartire dopo la pandemia

Che cosa fare e che cosa non fare in Italia per la ripartenza dopo la pandemia. L'intervento di Valentino D’Addario, giornalista economico e consulente strategico

Dopo circa un mese di lock-down, credo valga la pena osservare con qualche attenzione cosa abbiamo di fronte e lo stato dell’arte.

LA PANDEMIA

Al 5 aprile l’Italia, ufficialmente, dichiara alle organizzazioni internazionali che seguono l’evoluzione della pandemia da Coronavirus circa 125.000 casi e oltre 15.000 decessi. Una cifra, ormai è pacifico, ampiamente al di sotto della realtà, vista l’impossibilità delle strutture pubbliche di eseguire tamponi e/o test sierologici a tutta la popolazione per stabilire con esattezza il numero dei casi. Per non parlare del mancato conteggio delle numerosissime vittime del virus decedute in casa, soprattutto nelle province più colpite, Bergamo e Brescia.

Il 4 aprile l’Istituto superiore di Sanità ha diffuso l’informazione che il famoso R0 (R con zero) è passato dal 2,6- 3,2 di fine febbraio a 1, l’agognato numero che permette di dare respiro alle strutture sanitarie, visto che quel numero misura la capacità di contagio che ogni infetto ha nel suo ambiente di riferimento.

Con le spallate del contenimento di massa si è arrivati a un dato nazionale (attenzione perché questo è un aggettivo che contiene tranelli) confortante e che naturalmente merita ulteriori sforzi per abbatterlo a zero. Il problema è dato innanzitutto dal fatto che il dato è, appunto, nazionale. Vuol dire che se avessimo una mappa di R0 provincia per provincia scopriremmo che alcune aree del paese magari sono al di sotto di uno, ma molte altre no. E questo è pericoloso perché finché in tutta Italia R0 non scende sotto 1 vuol dire che i focolai di infezione possono ripartire anche in maniera robusta in assenza di interventi.

Inoltre, le curve epidemiche delle singole regioni stanno evidenziando due dinamiche perfettamente coerenti con quello che abbiamo visto accadere in queste settimane:

  • Il dato più eclatante è che c’è una forte asincronia di picco tra le regioni del Nord e quelle del centro e del Sud. È normale, il virus si è propagato prima in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, poi ha disceso, anche prendendo il treno, la penisola.
  • Il secondo dato che emergerà con chiarezza le prossime settimane, ma di cui si vedono già le avvisaglie, è che il picco di contagi al Sud, a meno di sfortunate esplosioni di contagi non contrastati efficacemente, sarà inferiore per numero di ammalati. Questa la buona notizia. Quella brutta è che durerà significativamente più a lungo. Raggiunto il picco la discesa verso lo zero sarà probabilmente molto lunga: si ammala meno gente, quindi ci sono più persone che possono ammalarsi nel tempo successivo al picco. E a una parte di essi purtroppo accadrà, andando ad alimentare le statistiche che ci daranno la fotografia della situazione mostrando una discesa lenta. Forse molto lenta.

Questi dati si evincono non solo dalle informazioni ufficiali, manche dai modelli di previsione, alcuni anche sofisticati, che fior di professionisti in possesso di conoscenze approfondite di statistica, hanno sviluppato in questi giorni rendendole pubbliche attraverso i social media.

Quindi, sulla Pandemia, siamo ancora in piena notte. Ci vorrà tempo, altro che 13 aprile.

L’ECONOMIA ITALIANA

Qui siamo su un terreno raso al suolo dal virus. Ovunque si provi ad osservare andamenti e previsioni si scorgono solo macerie di quella che una volta era, chi l’avrebbe mai detto?, una economia fiorente. Lo stop alle attività produttive ha colpito come un enorme terremoto tutta Italia, che si è fermata.

Anche la politica, per una volta, ha intuito che stavolta bisognerà usare l’artiglieria pesante per abbattere un nuovo nemico che si è già insediato e che farà di tutto per non essere scacciato: la recessione. Sono dieci lettere che messe in fila in quel modo, in tempi normali, fanno paura. In tempi come questi rischiano di generare panico. Dunque il governo ha approntato una serie di misure a sostegno dell’economia preoccupandosi, giustamente di tutelare sia le grandi imprese che le piccole e le medie. E giustissimamente tutelando, almeno a parole, anche i lavoratori.

Ma già dai primi vagiti dell’intervento straordinario si è capito subito che molti, tra quelli che siedono nei posti di responsabilità del bene comune, non hanno capito. Non hanno capito che di fronte al disastro economico la velocità degli interventi e la loro concretezza faranno la differenza sui tempi e sulla qualità della ripresa. Non hanno capito che nel prendere le decisioni su come aiutare il Paese bisogne essere lucidi, e in caso di assenza di competenze bisogna dotarsene subito.

Un esempio di scarsa lucidità? La scelta di aiutare i lavoratori attraverso la cassa integrazione, cioè uno degli strumenti di welfare più regolamentato che esista. L’illusione che una struttura mal guidata come l’Inps potesse far fronte rapidamente a questa scelta per fortuna è durata poco, e il governo ha capito che doveva usare le banche, non l’Inps, per far arrivare soldi alla gente. Nel frattempo sono passati dieci giorni; in altri tempi sarebbero stati nulla, oggi sono troppi. Stesso errore, utilizzo dell’Inps, con il sussidio da 600 euro alle partite Iva, stavolta pervicacemente portato avanti con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Una guida dell’istituto assolutamente scadente ha inanellato in una settimana una sequenza di errori impressionante.

Prima i vertici dell’Inps hanno lasciato capire che i fondi delle pensioni bastavano fino a maggio, scatenando il panico tra i pensionati già alle prese con l’incubo di ammalarsi. Poi gli stessi vertici hanno smentito rivelando che esiste un modo di avere soldi comunque, attraverso l’utilizzo di un fondo anticipi speciale già usato in passato e dunque non c’è problema, i soldi ci sono. Sicuro? Quel fondo è stato usato pacificamente in situazioni normali. Ma ora? Non sarebbe stato più serio dire che i soldi ci sono perché sarà obbligatoriamente un tema di intervento del governo?

Non contenti, i vertici dell’Inps, consapevoli del fatto di non avere in pianta organica un responsabile dell’immenso sistema informatico dell’Inps, non hanno minimamente pensato di sconsigliare il governo di utilizzare le loro piattaforme per distribuire i sussidi alle partite Iva. Nossignore, si sono candidati a farlo. Come? Ma naturalmente con il click-day, la geniale proposta lanciata sempre dal presidente dell’Inps quando il governo gli assegnò la rogna. Il click-day. Cioè che arriva prima prende i soldi e per gli altri tanti auguri. Coperto di lanci di pomodori e banane marce da parte di quasi tutti i media, l’Istituto ha fatto una finta retromarcia, promettendo che non ci sarebbe stato nessun click-day, ma attraverso un normale accesso al sito si sarebbero trovate procedure snelle (?) per accedere ai fondi. Ma la protervia ci ha messo lo zampino ancora una volta, e un insopprimibile attitudine a fregare il prossimo non ha permesso alla presidenza dell’INPS di aggiungere un minacciosissimo “naturalmente sarà tenuta in conto la precedenza temporale delle richieste”, cioè di nuovo un click-day mascherato. Nuovo lancio di pomodori, nuova smentita. Finito? Ma dai, adesso viene il bello.

5 milioni di aventi diritto avrebbero generato un’ondata di accessi al sito Inps assolutamente prevedibile. Hanno rafforzato i sistemi? No, Hanno scaglionato gli accessi? No. Hanno fatto qualsiasi straccio di cosa per regolamentare in qualche modo il flusso? No. Risultato: crash del sistema, sito irraggiungibile per oltre il 92% degli aventi diritto e tanti saluti. Dopo 5 giorni hanno fatto sapere che il 40% aveva avuto accesso alle procedure. Neanche in Burundi.

Ora, se questo è l’esordio, c’è davvero poco da stare allegri.

La rimozione dei vincoli normati in tutti i settori strategici al rilancio economico deve essere una priorità assoluta, altrimenti non ci sarò alcuna possibilità, se mai dovessero arrivare soldi, di fare investimenti efficaci e tempestivi. Ma dai ministeri la burocrazia arriccia il naso, di brutto. “Non si può mica buttare tutto all’aria, e che diamine”. E invece si deve. Sostituendo migliaia di norme con Testi Unici di settore che facciano da unico riferimento normativo da ora in poi e abroghino migliaia di norme e divieti inutili e dannosi, conservando quello che è strettamente necessario. Perché se non si rimuovono centinaia di vincoli sull’edilizia l’intera filiera non riparte, se non si rimuovono i vincoli ambientali le imprese che dovranno per forza lavorare in condizioni straordinarie non ripartono, se non si rimuovono i vincoli al credito bancario le aziende i soldi non riusciranno ad ottenerli. Eccetera eccetera eccetera.

Non è difficile da capire, ma non sembra che questa sia la priorità. Rendere semplice fare impresa e far ripartire le aziende è l’unico rimedio che il governo ha per far ripartire l’economia, altrimenti sprecherà i nostri soldi e perderà una straordinaria occasione per ammodernate l’abnorme e soffocante impianto normativo che ha zavorrato l’Italia negli ultimi 20 anni.

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