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Come e perché prof e deputati Pd criticano i super poteri di Gualtieri

Tutte le ultime novità sul caso dei super poteri per il ministro dell'Economia, Gualtieri, che sta facendo discutere anche costituzionalisti e parlamentari Pd

 

Lunedì 15 giugno un asettico e quasi routinario comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dava conto che, a Villa Pamphilj, tra una tartina ed un prosecco, il Consiglio dei Ministri si era riunito per varare un decreto legge atteso già da qualche giorno. Con quel decreto, pubblicato col numero 52 il giorno dopo in Gazzetta Ufficiale, si disponeva infatti la facoltà di utilizzo di ulteriori quattro settimane di cassa integrazione da parte dei datori di lavoro che avevano già esaurito le iniziali quattordici. Tale utilizzo, inizialmente previsto a decorrere dal primo settembre, veniva quindi reso immediato.

Ma sabato 20 sul Corriere della Sera, Federico Fubini ha gettato uno squarcio di luce su un aspetto inizialmente passato sotto silenzio, di cui il comunicato stampa non parla.

Il riferimento è all’articolo 4 del decreto, che dispone che tutte le risorse destinate con i 3 decreti finora emanati dal governo per fronteggiare la crisi (Cura Italia, Liquidità e Rilancio) sono soggette a monitoraggio da parte del ministero dell’Economia. All’esito di tale monitoraggio, il ministro dell’Economia è autorizzato ad apportare, con proprio decreto ministeriale, le variazioni di bilancio necessarie per rimodulare le risorse assegnate tra le diverse misure previste dai tre decreti.

Ma questa non è una novità. Infatti, anche il decreto “Cura Italia” all’articolo 126, ed il decreto “Rilancio” all’articolo 265, recano la medesima disposizione. Il fatto rilevante è che la possibilità di riassegnare le risorse viene qui stabilita non più all’interno dello stesso decreto, ma addirittura tra i 3 decreti che sono stati il pilastro, peraltro gracile, della risposta del nostro governo alla crisi economica da Covid-19.

Giova ricordare che i 3 suddetti decreti avevano in dote ingenti risorse finanziarie. Infatti, il governo era stato dapprima autorizzato dal Parlamento ad aumentare il deficit di 20 miliardi e poi di altri 55, scostamenti che porteranno il deficit/PIL per il 2020 intorno al 10/11%.

Aver inserito quella norma, dapprima nei singoli decreti e poi, nel decreto 52 con effetto cumulativo, conferisce al Ministro dell’Economia un potere enorme.

Quindi non solo il governo, presentando un decreto “monstre” di ben 266 articoli come il decreto Rilancio, ha di fatto esautorato qualsiasi tentativo di emendamento da parte del Parlamento che non avrà mai i tempi tecnici necessari per farlo, ma ha anche rilasciato una sorta di delega molto ampia al ministro Roberto Gualtieri per spostare risorse a seconda delle necessità.

Ma allora vien da chiedersi quali siano i criteri seguiti dal ministro “per ottimizzare l’allocazione delle risorse”. E, si badi bene, qui non stiamo parlando di aggiustamenti marginali. Oggi, come d’incanto, potrebbe bastare un decreto ministeriale per spostare fondi, ad esempio, dal bonus del 110% alla spesa sanitaria o alla cassa integrazione.

Domenica 21 pomeriggio il Mef ha emesso un apposito comunicato per definire come “interpretazioni assolutamente fantasiose e prive di ogni fondamento”, quanto sopra illustrato e quanto apparso sul Corriere della Sera il giorno prima. Ma la risposta del Mef, denotando comunque un evidente fastidio per quanto avevamo descritto, è stata la classica toppa peggiore del buco. Infatti, ha fatto rilevare la presenza della norma già nei precedenti decreti, facendo però finta di ignorare la differenza, che abbiamo sopra descritto, tra le diverse norme. Ha descritto la norma esattamente come l’avevamo interpretata noi, cioè “un meccanismo di vasi comunicanti” tra le diverse misure dei tre decreti. Il Mef ha sostenuto che tale meccanismo fosse stato “già utilizzato in precedenza”, ma così non è. Infatti, alcuni autorevoli costituzionalisti, come il professore di diritto pubblico Francesco Clementi ed il deputato Pd Stefano Ceccanti (costituzionalista), hanno nei giorni successivi fatto notare che i precedenti a cui si riferisce il Mef non sono affatto comparabili con la situazione attuale.

Il Mef non ha affatto risposto alla nostra domanda su quali fossero i criteri di allocazione “ottimale” che avrebbero dovuto guidare Gualtieri nella riassegnazione delle risorse. In presenza di centinaia di norme che potrebbero presentare tiraggio inferiore o superiore alle stime, come si comporterà il ministro? Scriverà di fatto una nuova legge di bilancio, variando le risorse finanziarie assegnate a centinaia di diverse misure?

Proprio i professori Ceccanti e Clementi, intervenuti rispettivamente su Huffingtonpost il 23 e sul Sole 24 Ore il 24 giugno, hanno demolito dalle fondamenta la nota del Mef e confermato la correttezza della nostra prima lettura. Ceccanti ha parlato di “problema istituzionale che deve essere riconosciuto in tutta la sua importanza” e di una norma che consente al ministro Gualtieri “ben oltre quanto previsto dalla legge di contabilità”. Clementi ha scritto di “delega in bianco, in piena discrezionalità, a disposizione del ministro dell’Economia”, di “norma palesemente extra-ordinem”.

A conferma della gravità del problema, è stato quindi presentato l’unico emendamento (68.137) al decreto Rilancio a firma del governo che, abbastanza clamorosamente, modifica proprio il comma 8 dell’articolo 265 del decreto legge “Rilancio”. Infatti, abroga completamente il decreto legge 52 (che era stato l’iniziale pietra dello scandalo) il cui articolo 4 trasloca nell’articolo 265, comma 8 del “Rilancio” con una modifica sostanziale: “Gli schemi dei decreti di cui ai precedenti periodi sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, da rendere entro il termine di sette giorni dalla data della trasmissione”.

Se il governo stesso ritiene necessario tale controllo, allora la nostra iniziale interpretazione non era così “fantasiosa e priva di fondamento”.

Troppo grave è il fatto che un ministro possa disporre, con semplice suo decreto, di fondi destinati da ben tre decreti legge (di cui due già convertiti in legge) a centinaia di specifiche misure che praticamente impattano su tutti gli aspetti della vita del nostro Paese.

Martedì 23 è giunto anche il sigillo del Comitato per la Legislazione, organo parlamentare che esprime alle Commissioni pareri sulla qualità dei progetti di legge, valutandone l’omogeneità, la semplicità, la chiarezza e proprietà di formulazione. Esso ha l’obbligo di esprimere pareri su tutti i decreti legge all’esame delle Camere. E non è stato tenero con il governo. Il Comitato ha rilevato il salto di qualità – in peggio – che avevamo evidenziato e cioè che il governo non contento di fare i vasi comunicanti tra le misure di uno stesso decreto, ha pensato bene, con il D.L. 52, di fare le cose in grande, istituendo vasi comunicanti anche tra i tre decreti. Il Comitato osserva che “dalla formulazione della norma sembra ricavarsi una sorta di “delegificazione” attraverso la quale i decreti ministeriali potrebbero modificare, in modo indefinito, tutte le autorizzazioni legislative di spesa recate dal provvedimento; tale interpretazione della norma non può che suscitare però consistenti dubbi con riferimento al sistema delle fonti”. Una stroncatura che non consente repliche a cui il Comitato aggiunge che “se tale interpretazione della norma è quella corretta, il rispetto del sistema delle fonti ne impone la soppressione, potendosi accedere, in via subordinata, e solo qualora un grave stato di necessità, che andrebbe illustrato dal Governo, ne imponga l’adozione, ad una parlamentarizzazione della procedura, attraverso la previsione di un parere parlamentare “forte” (ad esempio con il “doppio parere” parlamentare) sugli schemi di decreto ministeriale attuativi”. Il Comitato non ha dubbi: la norma deve essere soppressa o, al limite, sottoposta ad una rigida procedura di autorizzazione parlamentare, perché qui è in gioco la Costituzione e, finché c’è un Parlamento, le leggi le fa quest’ultimo.

Ma il Comitato si era già espresso il 27 maggio con un altro parere in cui, con riferimento alla norma del Decreto Rilancio, che disponeva (in scala minore) la stessa manovra a favore del Ministero dell’Economia, invitava “ad approfondire l’effettiva necessità della disposizione e, nel caso sia ritenuta necessaria, ad inserire l’espressione di un parere parlamentare forte”.

Per tutta risposta, ignorando del tutto la raccomandazione espressa dal Comitato, il Governo il 16 giugno ha pensato di aumentare la potenza esplosiva di questa disposizione, riproponendola con portata ancora più vasta, nel D.L. 52. Ed il 23 il Comitato ha replicato decidendo di affondare il colpo con la richiesta di soppressione. A brigante, brigante e mezzo.

Ma chi può aver avuto interesse a consentire al ministro Gualtieri spostamenti di risorse, ad esempio, dal bonus vacanze o dal bonus 110% (di cui si teme lo scarso tiraggio rispetto agli stanziamenti) alla Cassa Integrazione o altro? Abbiamo appreso da autorevoli fonti che la “manina” avrebbe un indirizzo preciso: la Ragioneria Generale dello Stato, che è un dipartimento del Ministero dell’Economia. Sarebbe partita da lì questa norma che avrebbe consentito una rapida dislocazione di miliardi da una misura all’altra. Peccato che, come ha dichiarato al quotidiano La Verità l’onorevole della Lega Maura Tomasi, presidente del Comitato per la Legislazione, esista un Parlamento ed una Costituzione che non possono essere scavalcati. E questo è un valore da difendere a prescindere dal colore politico della maggioranza pro-tempore al governo.

La Presidente ci ha anche fatto notare che non condivide il testo dell’emendamento presentato dal governo, che prevede che le variazioni di bilancio ad opera del Mef siano soggette a parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Infatti tutti i componenti del Comitato, incluso il vice Presidente PD Stefano Ceccanti, hanno firmato due sub-emendamenti al D.L. Rilancio che prevedono espressamente un doppio parere parlamentare sugli schemi di decreto ministeriale che riallocano le risorse. E non è detto che sia la soluzione definitiva di questo pasticcio.

Ne sapremo qualcosa di più quando il decreto legge “Rilancio” sarà convertito in legge. Per il momento, accontentiamoci dell’efficace lavoro di un organo parlamentare che fa il proprio dovere e riflettiamo sul fatto che una vicenda del genere non ha ancora suscitato un’ondata di indignazione dell’opinione pubblica adeguata allo sfregio causato alle regole della democrazia parlamentare ed alla Costituzione.

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