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Che cosa cambia dopo l’annuncio di Von Der Leyen sul tappo saltato del Patto di stabilità?

L'annuncio del presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, sul Patto di stabilità analizzato da Gianfranco Polillo

Saltato il tappo del Patto di stabilità, saranno in molti a voler brindare a champagne. Se non altro per non sprecare il prezioso liquido contenuto in quella bottiglia, in questo spronati dalla stessa terminologia usata da Ursula Von Der Leyen: “Pompare nel sistema il denaro finché serve”.

https://twitter.com/vonderleyen/status/1241038877927903238

Da taluni inteso come la fine di un incubo. Finalmente il ritorno alla spesa facile degli anni ’70, più che del decennio successivo. Quando si costruivano le basi economiche e sociali del “compromesso storico”: il punto unico di scala mobile concordato tra Gianni Agnelli, presidente di Confindustria, e Luciano Lama, a nome dei tre sindacati confederati. La madre di tutte le successive indicizzazione che, nel decennio successivo, anche a causa dei cambiamenti della politica monetaria internazionale, avrebbero portato all’esplosione del debito pubblico italiano. Da allora cinquant’anni vissuti nel segno del pericolo.

Da un punto di vista tecnico-giuridico, la posizione espressa dalla Commissione europea, che dovrà essere ratificata dal Consiglio, è stata più prudente. Espressa dal richiamo alla “general crisis clause”, che fa parte dell’armamentario dello stesso Patto di stabilità. “In periodi di severa recessione per la Ue e la zona euro – è infatti previsto – gli Stati possono temporaneamente allontanarsi dall’aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine (OMT), posto che ciò non metta a rischio la sostenibilità di bilancio nel medio termine”. Ineccepibile se si considera lo stato di guerra indotta dalla pandemia del coronavirus, la cui sconfitta rappresenta la premessa di qualsiasi successiva azione.

Il problema sarà solo vedere se questa leggera paratia – “il temporaneo allontanamento” – terrà o se, invece, una volta liberati gli animal spirits (ma questa volta non nel senso shumpeteriano) sarà possibile tornare ad una politica economica e finanziaria che non sia dominata solo da logiche di potere e di consenso. Preoccupazioni che non mancano specie per chi, come noi, non ha mai avuto remore nel criticare regole non tanto “stupide”. Il copyright era di Romano Prodi. Ma certamente miopi, visto che quella stessa ricetta, con identica intensità, aveva la pretesa di applicarsi a tutti: malati ed individui fin troppo vigorosi.

L’aver eliminato quel cappio non sarà comunque senza conseguenze: sia nel breve che nel medio periodo. Non si faccia troppo affidamento su spread e valori di borsa. La volatilità rimane eccessivamente alta e basta un nulla per azionare l’otto volante, come avvenuto nei giorni passati sulla scorta delle dichiarazioni dei responsabili europei ed americani. Il problema sarà vedere se il mercato sarà un giudice più o meno severo rispetto ai burocrati di Bruxelles e se le istituzioni – soprattutto la Bce – avrà la forza di battere le posizioni più speculative. Attenti, tuttavia: sarà difficile per chiunque contrastare andamenti sfavorevoli, se alla loro origine saranno errori nella gestione della politica economica. O addirittura la sua esclusiva o prevalente finalizzazione per acquisire solo maggiore consenso.

Vale la pena ricordare che, anche – ma forse a maggior ragione – nelle drammatiche situazioni che l’intero Occidente sta vivendo, non esistono pasti gratis. Questo significa che l’intervento pubblico, per quanto necessario ed indispensabile, non può che essere rigoroso. Perseguire cioè non solo il bene comune. Ma fare in modo che questa condizione sia facilmente ed immediatamente percepibile. Ogni piccola o grande furbizia, infatti, avrebbe conseguenze nefaste. Alimenterebbe il dubbio del persistere di vecchie abitudini, che possono essere anche mantenute, ma solo pagando il prezzo necessario per un lusso non giustificabile.

Basterà? Quando la tempesta sarà passata – perché prima o poi passerà – sarà difficile rimettere il genio nella lampada. Le vecchie regole del Patto andranno aggiornate, se si vuole avere un controllo sulla realtà economica e finanziaria dell’Eurozona. Quale condizione indispensabile per la sopravvivenza dell’euro. Pensare che ogni singolo Stato possa perseguire una sua politica, senza pensare alle conseguenze ch’essa produce sui suoi vicini, è solo una sciocca illusione. Non è mai stato così. Neanche negli anni in cui l’idea di una moneta comune era ancora in mente dei.

Negli anni ’70, tanto per fare un esempio, la politica monetaria italiana, benché gestita da Palazzo Koch, dipendeva di fatto dalla Bundesbank la cui maggior forza relativa costringeva le altre banche centrali, in Italia, come in Francia, a tener conto di quel condizionamento. Se ne poteva, in parte, prescindere. Ma con riflessi immediati sulla tenuta del cambio. La cui dinamica dipendeva da due diversi fattori: la bilancia commerciale (export ed import) ed il movimento dei capitali. Era, quindi, necessario un complesso gioco di equilibri che rendeva la situazione ben diversa dal paradiso, oggi, evocato da euroscettici e sostenitori dell’Italexit.

Soprattutto non dimentichiamo quello che, allora, era il Mondo. L’Occidente unica cittadella del benessere, circondata da miliardi di affamati. La Cina chiusa in sé stessa nel susseguirsi delle proprie rivoluzioni. Il libretto rosso del Presidente Mao. L’orso sovietico in grado di offendere sul piano militare, ma non di crescere dal punto di vista economico. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Per dimostrare che indietro non si può tornare. Ma per andare avanti è necessario che quelle vecchie regole siano cambiate. Si poteva fare prima, con un minimo di lungimiranza. Adesso è questione di pura e semplice necessità.

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