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2022

Sta scoppiando una bolla nelle Borse? No, ecco perché

Fatti, numeri, domande e risposte  La forte correzione di lunedì 5 febbraio è il segnale dell’inizio dello scoppio di una bolla azionaria? Secondo Mark Hulbert, columnist del popolare sito americano Marketwatch.com, non lo è affatto, anzi è la dimostrazione che in realtà non vi sia una bolla dell’azionario Usa, soprattutto a confronto con i precedenti…

Fatti, numeri, domande e risposte 

La forte correzione di lunedì 5 febbraio è il segnale dell’inizio dello scoppio di una bolla azionaria? Secondo Mark Hulbert, columnist del popolare sito americano Marketwatch.com, non lo è affatto, anzi è la dimostrazione che in realtà non vi sia una bolla dell’azionario Usa, soprattutto a confronto con i precedenti storici.

Hulbert cita uno studio pubblicato nel 2006 da Malcolm Baker, professore di finanza alla Harvard Business School, e Jeffrey Wurgler, professore di finanza alla NYU, in cui venivano elaborati una serie di indicatori oggettivi di esuberanza irrazionale fortemente correlati con le bolle, come nel crollo dei mercati azionari del 1929 o lo scoppio della bolla Internet all’inizio del 2000. Ecco un piccolo elenco di indicatori-chiave.

a) Il gran numero di nuovi collocamenti in borsa. Una misura di esuberanza irrazionale è rappresentata da un gran numero di imprese che vanno in borsa. Il mercato attuale è molto più freddo dei precedenti periodi. Secondo Jay Ritter, professore di finanza all’ Università della Florida, nel 1999, ultimo anno pieno prima dello scoppio della bolla internet, ci furono 477 Ipo. Nel 2017 sono state 108.

Borsab) Il rialzo del primo giorno dell’ipo. Un indicatore correlato è la crescita media del titolo approdato al listino nel primo giorno di contrattazione. Nel 1999, secondo Ritter, tale media era del 57%; nel 2017, invece, è stata più contenuta, il 15%.

c) Il discrimine del dividendo. E’ calcolato come il differenziale di valutazione tra le nuove imprese speculative (indicato dal fatto che non pagano un dividendo, puntando solo sull’apprezzamento dei titolo) e le società che invece sono più stabilizzate e pagano la cedola. Quando l’esuberanza è alta, secondo Baker e Wurgler, le società che non pagano dividendo vengono scambiate a multipli più elevati rispetto alle società che distribuiscono dividendi. All’ inizio del 2000, per esempio, all’apice della bolla di Internet, il rapporto tra prezzo del titolo e patrimonio netto per azione (P/book value) dei titoli più speculativi era superiore del 43% rispetto a quello delle società più affermate. Oggi invece sono le società che distribuiscono cedole ad avere le valutazioni più elevate: 7% in più, secondo FactSet, tra le azioni dell’indice S&P 1500.

d) Più azioni o più bond? Un ulteriore indicatore di esuberanza su cui Baker e Wurgler si sono concentrati è la misura in cui le società, per raccogliere capitali, preferiscono emettere azioni piuttosto che obbligazioni. L’ esuberanza è elevata quando le società si rivolgono in misura sproporzionata al mercato azionario per raccogliere capitali. Wurgler, in una e-mail, ha detto che la quota azionaria per il 2017 è stata solo del 7,3%, una percentuale piuttosto bassa.

Un secondo studio si è incentrato sull’analisi dei rialzi di borsa talmente pronunciati da far presagire un crash imminente. Gli autori sono Robin Greenwood, professore di finanza e banche alla Harvard Business School e presidente del progetto di finanza comportamentale e stabilità finanziaria; Andrei Shleifer, professore di economia all’ Università di Harvard, e Yang You, candidato al dottorato di ricerca anch’egli ad Harvard. I ricercatori hanno definito la bolla come una brusca corsa dei prezzi nell’ arco di due anni, seguita da un calo di almeno il 40% nei due anni successivi. Quando il rialzo è talmente pronunciato da superare il 100%, la probabilità che arrivi un brusco ribasso aumenta al 50%. Quando il rialzo è almeno del 150%, tale probabilità sale all’80%. Con l’aumentare della velocità di rincorsa, un crash diventa quasi certo.

Se per esempio si prende il valore del bitcoin alla fine di novembre 2017, dato il rialzo superiore al 2000% della cripotcurrency rispetto ai due anni precedenti, era statisticamente quasi certo che la criptovaluta sarebbe andata in crash. E il bitcoin è ora in calo del 65% rispetto al suo massimo di dicembre 2017. Il mercato azionario non ha la stessa frenesia: lo scorso 29 gennaio, per esempio, l’indice S&P 500 risultava essere cresciuto del 48% rispetto al biennio precedente, rialzo questo che secondo i ricercatori non si traduce quasi mai in un aumento significativo della probabilità di un tracollo.

Conclusione: anche se la fase toro del mercato va ad esaurire la sua spinta, molti dati non giustificano lo scenario di una bolla che sta per scoppiare.

(Articolo ripreso da MF/Milano Finanza)

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