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Smart Working

Smart Working, cosa cambia con le nuove norme

Arrivano le nuove norme sullo smart working. Cosa prevede la legge? E cosa accadrà ai vecchi contratti?   Il decreto legge sul Lavoro autonomo e, dunque, sullo smart working è alle battute finali. Il Senato dovrebbe approvarlo in via definitiva tra pochi giorni. E mentre il Governo cerca di regolamentare il lavoro agile, sempre più…

Arrivano le nuove norme sullo smart working. Cosa prevede la legge? E cosa accadrà ai vecchi contratti?

 

Il decreto legge sul Lavoro autonomo e, dunque, sullo smart working è alle battute finali. Il Senato dovrebbe approvarlo in via definitiva tra pochi giorni. E mentre il Governo cerca di regolamentare il lavoro agile, sempre più aziende si affidano a questa nuova modalità di collaborazione. I vantaggi sono enormi, per l’azienda e il dipendente.

Ma le nuove norme in arrivo come cambieranno i contratti? Approfondiamo insieme, partendo dall’inizio.

Smart working: la situazione in Italia

Lo smart working piace. Ai giovani e alle grandi aziende, che ne fanno sempre più ricorso. Secondo una ricerca a firma del Politecnico di Milano, in Italia ci sono circa 250.000 lavoratori dipendenti che fanno smart working, in aziende con oltre 10 dipendenti. Il numero di grandi imprese che lo adottano è passato negli ultimi due anni dall’8% al 30%.

smart workingSolo pochi giorni fa, Enel, tra le altre, ha reso strutturale lo smart working. Archiviato positivamente il progetto pilota che ha coinvolto oltre 500 lavoratori, il lavoro da casa un giorno alla settimana diventa una regola per ben 7mila addetti.

Anche Barilla si affida a questa nuova modalità di lavoro. Addirittura, l’azienda punta ad “offrire, entro il 2020, a tutta la popolazione impiegatizia la possibilità di lavorare nella modalità smart working per il 100% del proprio tempo lavorativo”, si legge in un comunicato. La cosa significherebbe smobilitare potenzialmente dall’ufficio molti degli 8 mila dipendenti che l’azienda ha nelle sue 29 sedi in tutto il mondo.

Pro e contro del lavoro agile

Se è vero che lavorare da casa garantisce una maggiore autonomia nel definire l’orario di lavoro e una maggiore flessibilità in termini di organizzazione della giornata lavorativa; portando ad una maggiore produttività e ad un equilibrio tra lavoro e famiglia, è anche vero che con lo smart working spesso si tende a lavorare più a lungo.

E dunque, più che equilibrio, c’è in realtà una sovrapposizione tra la vita lavorativa e quella privata. E tutto questo può portare ad un alto livello di stress. Basti pensare che negli Stati Uniti è stato accertato che il 78% delle ore di lavoro in più tra il 2007 e il 2014 sono da attribuire al lavoro da svolto da casa. E ancore: in Giappone circa il 30% dei smart worker lavora 6 o 7 giorni a settimana.

Le nuove norme

Il decreto legge che prova a regolamentare lo smart working definisce tale rapporto “una prestazione di lavoro subordinato” che si svolge attraverso “una prestazione lavorativa svolta solo in parte all’interno dei locali aziendali e con i soli vincoli di orario massimo derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”, con “possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa” e “assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti al di fuori dei locali aziendali”.

Come stabilito dalle nuove norme, l’accordo scritto tra azienda e lavoratore dovrà disciplinare i tempi di riposo, ovvero il diritto alla disconnessione: “Lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile è disciplinato da un accordo scritto tra le parti, nel quale sono definite le modalità di esecuzione della prestazione resa fuori dai locali aziendali, anche con riferimento agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo deve altresì individuare le fasce orarie di rispetto dei tempi di riposo del lavoratore”.

La normativa specifica anche che il trattamento economico e normativo del lavoro agile non dovrà essere inferiore a quello applicato ai colleghi che svolgono le stesse mansioni all’interno dell’impresa in attuazione dei contratti collettivi.
Ciascuno dei contraenti può recedere dall’accordo prima della scadenza del termine, se l’accordo è a tempo determinato, o senza preavviso, se l’accordo è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una giusta causa. In mancanza di giusta causa, il recesso unilaterale dall’accordo a tempo indeterminato deve essere preceduto da un preavviso espressamente indicato nell’accordo e comunque non inferiore a 30 giorni”, chiarisce ancora la normativa.

Cosa accade ai vecchi contratti smart working?

Tutti i contratti smart working siglati fino ad oggi dovranno esser ritenuti nulli? No, ma solo se sono con le direttrici fissate dal disegno di legge. In particolare, anche i vecchi contratti dovranno essere adeguati affinchè rispettino il principio di parità di trattamento normativo e retributivo, perché non si tratta di un contratto diverso, ma di una differente modalità di svolgere la prestazione all’interno dello stesso contratto.

I limiti del decreto legge

Il decreto legge tanto atteso, però, ha anche dei forti limiti. La gran parte dei contratti siglati attualmente si basa sulla contrattazione collettiva. È per questo che sarebbe stato opportuno definire un periodo transitorio, in cui le aziende avrebbero potuto adeguarsi alle norme.
Le nuove norme, poi, non chiariscono del tutto la questione sicurezza sul lavoro e quella dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.

Smart working in Italia: una spinta dal pubblico impiego?

Una spinta allo smart working, in Italia, potrebbe arrivare comunque dalla Pubblica Amministrazione. Nelle scorse settimane è arrivata in consiglio dei Ministri la grande riforma del pubblico impiego, cuore della delega per la riorganizzazione della P.A. Si tratta del decreto che disciplina i rapporti di lavoro, ovvero il Testo Unico del pubblico impiego: tra le misure principali anche quello dello smart working.

La riforma Madia punta al lavoro agile per cambiare il pubblico impiego, contrastando gli assenteisti, anche attraverso nuove formule che abbattano le barriere casa-ufficio. L’obiettivo da centrare, come si intuisce dal testo, non è quello di totalizzare quante più ore possibili davanti alla scrivania, ma raggiungere dei target per servizi pubblici funzionanti e di qualità.

In particolare, la riforma prevede che almeno il 10% dei dipendenti pubblici, dove lo richiedano, entro il 2018, possa avvalersi di nuove modalità spazio-temporali di lavoro.

Smart working: come sta messa l’Europa?

smart workingA fotografare la situazione in Europa è uno studio di Eurofound e dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro. E se vogliamo dirla tutta i risultati non brillanti.  Nei paesi dell’Unione Europea circa il 17% dei dipendenti è in media impegnato in questi tipi di lavoro.

La media, ovviamente, varia da Paese e Paese, in base anche a mansioni e settori di attività.Danimarca e Svezia guidano la classifica con il 40% e il 32% di lavoratori “da remoto”. In Germania solo il 10% dei dipendenti pratica smart working.

Parlando del Vecchio Continente, è giusto precisare che, ad oggi, solo l’Unione Europea, attraverso l’”Accordo quadro sul telelavoro”, ha cercato (e adottato) delle soluzioni per adattarsi alla digitalizzazione e al cambiamento del mondo del telelavoro.

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