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Privatizzazione di Cassa Depositi e prestiti: pro e contro

Dopo Poste e Ferrovie dello Stato, il Governo potrebbe mettere sul piatto anche il 15% di Cassa Depositi e Prestiti, madre di tutte le privatizzazioni   La soluzione per provare a ridurre il debito pubblico? Privatizzare. E se nei giorni scorsi si parlava di vendere l’ultima quota di Posta e quelle di Ferrovia, ora è…

Dopo Poste e Ferrovie dello Stato, il Governo potrebbe mettere sul piatto anche il 15% di Cassa Depositi e Prestiti, madre di tutte le privatizzazioni

 

La soluzione per provare a ridurre il debito pubblico? Privatizzare. E se nei giorni scorsi si parlava di vendere l’ultima quota di Posta e quelle di Ferrovia, ora è uscita anche l’indiscrezione che il Ministero dell’Economia sarebbe pronto a mettere sul mercato fino al 15% della Cassa Depositi e Prestiti, di cui il Mef controlla al momento l’80%. E dunque, dopo essere stata sempre utilizzata per privatizzare, ora sorte della privatizzazione, potrebbe toccare a lei.Analizziamo Pro e Contro dell’operazione.

Il debito Pubblico italiano

Il debito pubblico italiano si attesta, secondo i dati del terzo trimestre 2016 di Eurostat, al 132,7% del Pil, a 2.212.616 milioni di euro. La percentuale è in calo di 2,8 punti percentuali (al secondo trimestre era al 135,5%).
La diminuzione, però, non basta. L’Italia, infatti resta tra i Paesi col debito pubblico più pesante restano la Grecia (176,9%), il Portogallo (133,4%).

La privatizzazione di Cassa depositi e prestiti

Il Tesoro, come accennato, starebbe valutando di vendere il 15% di Cassa depositi e prestiti, società controllata dal Mef, che gestisce il risparmio postale (Cdp è diventata nel corso degli anni una sorta di banca d’affari pubblica con una dote da 250 miliardi di euro, il risparmio postale degli italiani). La cessione delle quote porterebbe nelle casse dello Stato circa 5 miliardi di euro, considerato che il patrimonio dell’intero gruppo supera i 33 miliardi.

L’idea di vendere una quota della Cassa sembra allineare il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il premier Paolo Gentiloni.

Chi potrebbe acquisire Cdp?

cassa depositi e prestitiLa grande domanda è quella su chi potrebbe essere interessato ad acquisire una parte di Cdp. O meglio a chi il Tesoro intende destinare quella quota. Al mercato oppure agli investitori istituzionali? Ai fondi o alle banche straniere?

I pro e i contro (evidenti) della cessione di Cassa Depositi e prestiti

Pro. Per chi investe: comprare una quota della Cdp potrebbe essere un investimento dal rendimento non trascurabile, dato che il suo ultimo dividendo è ammontato a quasi un miliardo di euro.

Pro. Con la vendita, potrebbe la Cdp potrebbe ridurre la dipendenza dal risparmio postale. Attualmente, infatti, su circa 400 miliardi in bilancio, oltre 250 provengono dalle poste.

Pro e Contro. Cedere quel 15%, per lo Stato significherebbe avere un’entrata di 5 miliardi di euro. Poco rispetto ai 2.000 miliardi di debito, ma è qualcosa.

Contro. Si inizia a privatizzare una istituzione destinata nata per soddisfare esigenze di natura pubblica. La buona notizia, in questo senso è che comunque il Tesoro manterrebbe una quota superiore al 60%, con un potere assoluto di nominare i vertici.

Vendita straniera? C’è un precedente

Sempre secondo voci di corridoio, il 15% della Cassa Depositi e prestiti potrebbe passare in mano cinese. E un precedente, a dirla tutta, c’è. Nel 2014, infatti, Tre anni fa Cdp ha ceduto il 35% della controllata Cdp Reti, che a sua volta ha un pezzo di Snam e Terna, ai cinesi di State Grid. Se è vero che l’operazione aveva fruttato 2 miliardi di euro, è vero anche che aveva lasciato qualche perplessità.

Una lotta politica?

padoanC’è poi da chiedersi se questa partita delle privatizzazioni non sia solo una sfida politica. Insomma, mentre una parte del Pd, infatti, ha deciso di bloccare le privatizzazioni messe in cantiere da Pier Carlo Padoan, ovvero quella di ipotizzata di Poste e di Ferrovie dello Stato. Proporre la cessione di Cdp, madre di tutte le privatizzazioni, significherebbe contrattaccare i colleghi, spingendo sul pedale dell’acceleratore.

Non solo Cdp. Nel mirino delle privatizzazioni anche Poste

Il Governo Gentiloni potrebbe mettere sul mercato anche la seconda (e ultima) tranche di Poste Italiane.

Dopo la cessione del 35,3% del capitale di ottobre 2015, che ha consentito al ministero dell’Economia di incassare 3.058 milioni e dopo aver ceduto un’altra quota pari al 30 per cento a Cassa depositi e prestito nel 2016, il Governo potrebbe mettere sul mercato la residua quota del 29,7%, con le stesse modalità dell’Ipo e cioè con la cessione a investitori istituzionali e risparmiatori.
Una scelta che divide

La scelta di privatizzare Poste non trova però, tutti concordi. A promuovere la strada delle privatizzazioni è il ministro per lo Sviluppo Carlo Calenda e il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan.

A non esser d’accordo è invece il sottosegretario allo Sviluppo economico, Antonello Giacomelli, che ritiene la scelta di mettere sul mercato la seconda (e ultima) tranche di Poste, “ un errore strategico” e che, per ridurre il debito l’Italia non dovrebbe provatizzare tutto ciò che è privatizzabile.

Privatizzazione Ferrovie dello Stato? Anche questa divide

Mentre Carlo Padoan sarebbe ben felice di mettere sul mercato una parte di Fs, c’è chi sulla questione vuole riflettere ancora. “Va fatta una riflessione molto profonda: abbiamo ancora molto da discutere” sulla questione, ha detto il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, alla Camera. “In un servizio come quello delle Frecce va tenuto conto che ci sono dentro anche i contratti di servizio con le regioni ed il servizio universale e quelle parti” e “non voglio sottoporle al mercato”.

“Lo spezzatino delle Ferrovie va contrastato e fermato sia nell’interesse dei lavoratori che dei cittadini che utilizzano il treno. Bisogna fermare questo possibile scempio perpetrato ai danni della collettività e su settori strategici per lo sviluppo del nostro Paese. Il ritorno per le casse del Paese è minimo, di pochi miliardi di euro, poca cosa in confronto a quanto questo gruppo vale e a quanto può riversare negli anni futuri alla collettività”, dichiarano i sindati Cgil, Cisl e Uil sull’affare.

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