skip to Main Content

Turchia

La Turchia, l’Italia e le cose turche di Erdogan contro i curdi

L’approfondimento di Emanuele Rossi con il commento di Marta Ottaviani, giornalista tra i massimi esperti di Turchia e autrice del best seller “Il Reis” Lunedì 5 febbraio il presidente turco Recep Tayyp Erdogan è stato a Roma per incontri istituzionali, tra cui quello con Papa Francesco; il colloquio in Vaticano è durato cinquanta minuti e, a giudicare…

Lunedì 5 febbraio il presidente turco Recep Tayyp Erdogan è stato a Roma per incontri istituzionali, tra cui quello con Papa Francesco; il colloquio in Vaticano è durato cinquanta minuti e, a giudicare dalle facce dei partecipanti nella photo opportunity finale, non è stato un incontro troppo sereno. Argomenti sul tavolo, il riconoscimento di Gerusalemme capitale d’Israele da parte della Casa Bianca (Erdogan s’è intestato la pratica nel tentativo di costruirsi l’immagine di colui che difende gli interessi dei musulmani davanti all’Occidente e ora bussa al soglio pontificio per trovare riconoscimento alla sua causa), l’islamofobia, il terrorismo islamico. La Sala Stampa Vaticana, dopo l’incontro di Erdogan con il Papa e con i vertici della Segreteria di Stato (il cardinale Pietro Parolin e mons. Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati) ha diffuso una nota in cui si indica che l’interesse della Chiesa è “promuovere la pace e la stabilità nella regione attraverso il dialogo e il negoziato, nel rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale”.

PARLA MARTA OTTAVIANI

Marta Ottaviani, giornalista tra i massimi esperti di Turchia e autrice del best seller “Il Reis”, sottolinea da Istanbul che più che un viaggio è stata una vera e propria “missione” con fissati due obiettivi: primo, “il consolidamento a livello interno della sua immagine di leader invincibile e riempire alcune caselle all’estero. Quella dell’intesa con Papa Francesco è importante, ma Erdogan cercava anche una sponda italiana per perorare la sua causa europea. Non dimentichiamoci che proprio a partire da quest’anno la Mezzaluna inizierà a percepire meno soldi di quelli previsti per i Paesi candidati proprio per lo stallo negoziale”. Secondo obiettivo, per Ottaviani, “quello che muove tutta la politica di Erdogan: gli affari. Il presidente ha incontrato anche alcuni importanti imprenditori italiani e si è portato dietro il genero-Ministro dell’Energia Barat Albayrak”.

LA QUESTIONE CURDA

Oltre al Papa, il presidente turco (un tempo leader di un Paese ponte tra l’Occidente e il mondo islamico, ora despota di una nazione in cui i cattolici trovano difficoltà nel professare il proprio culto a causa dell’islamizzazione spinta dal suo partito di governo, l’AKP) ha incontrato anche i vertici dello Stato, e come detto, alcuni rappresentati del mondo industriale italiano. I meeting nascondono una serie di incoerenze, controversie, distanze e confronti, tra Turchia, Europa e Stati Uniti; per dirla come l’ha messa Liberation, avvengono durante “i bombardamenti mortali in Siria contro i curdi” costati la vita finora a un centinaio di civili.

RAMOSCELLO D’ULIVO

Emblematica su queste divisioni è infatti l’operazione militare turca “Ramoscello di ulivo”, evocazione biblica nel nome, che nasconde un’azione brutale e settaria turca contro i curdi siriani che hanno il controllo del cantone di Afrin (messaggi impliciti: il Pontefice ha regalato a Erdogan un medaglione con impresso “l’angelo della pace che strozza il diavolo della guerra”). Quel territorio, al confine mediterraneo tra Siria e Turchia, ce l’hanno in mano i curdi locali da quando la loro milizia (nota principalmente con la sigla Ypg) ha aiutato gli americani sul terreno (il mondo, si direbbe in un’ottica meno tecnica ma più escatologica) a strappare l’intera fascia, che da Afrin corre fino al confine iracheno più a est, allo Stato islamico. Lì il Califfato aveva creato un cuscinetto utilizzato sia per il controllo statuale (vi si trova l’ex roccaforte Raqqa, che fu il simbolo del potere del Califfo e il richiamo globale per i combattenti esteri, anche quella liberata dalla Colazione a guida americana grazie ai curdi), sia per la gestione dei traffici clandestini, soprattuto quelli dei foreign fighers.

IL RUOLO DEI CURDI SIRIANI

I curdi siriani sono dunque ad Afrin col consenso americano, europeo, Nato: un consenso che Erdogan non condivide perché l’annientamento delle Ypg rientra in un piano che il presidente turco ha rilanciato contro i curdi di Turchia (i siriani sono considerati cugini dei curdi turchi, per questo odiati dal governo di Ankara). Spiega Ottaviani: “L’operazione Ramoscello di ulivo può essere collocata in più modi. Per prima cosa si tratta sicuramente di un modo per la Turchia di espandere la sua sfera di influenza in territori dove storicamente è convinta di vantare una sorta di primato. In secondo luogo c’è il problema (da parte di Ankara) del ridimensionamento curdo. Non solo colpendo gli obiettivi dello Ypg. Ma anche riequilibrando la componente etnica. In quest’ottica vanno letti gli sforzi profusi dal governo turco per rimandare i rifugiati siriani oltre confine, fra i quali, per altro, potrebbero esserci elementi pronti ad andare a rimpolpare la cosiddetta opposizione siriana”.

LA TURCHIA FRA ITALIA E OLANDA

Il presidente francese, Emmanuel Macron (che in questo periodo briga molto tra gli affari internazionali perché li usa come trampolino per una nuova grandeur della Francia come guida globale), ha definito l’operazione Ramoscello “un’invasione”, senza mezzi termini; più cauta, al solito, Roma (nella capitale ci sono state manifestazione anti-Erdogan caricate dalla polizia: “L’immagine – aggiunge Ottaviani – è quella di un’Italia ancora strettamente filo turca. Il fatto che lo sia più per convenienza che per reale amicizia temo non cambi la posizione nei confronti di Bruxelles, ammesso conti ancora qualcosa”). Da Ankara hanno risposto che Parigi dovrebbe pensare all’Algeria, in queste provocazioni continue tra Turchia e Occidente, Europa; nell’ottica, lunedì, mentre Erdogan era in Vaticano, l’Olanda s’è mossa oltre: non ci sono gli estremi perché si normalizzi il rapporto con la Turchia, dicono gli olandesi, e così l’Aja ha deciso di ritirare il proprio ambasciatore e troncare definitivamente i rapporti.

Back To Top