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Vi racconto la pericolosa indifferenza dell’Italia in Europa sui dossier economici

L’analisi dell’editorialista Angelo De Mattia Parafrasando una celebre dichiarazione del periodo di mani pulite, si potrebbe dire che Jean-Claude Juncker, in un’ora pericolosamente tarda della mattinata, il 22 febbraio ha dato un saggio della sua eccezionale capacità di commettere gaffe evocando il rischio – un’ipotesi poi malamente corretta – della formazione post-voto, in Italia, di…

L’analisi dell’editorialista Angelo De Mattia

Parafrasando una celebre dichiarazione del periodo di mani pulite, si potrebbe dire che Jean-Claude Juncker, in un’ora pericolosamente tarda della mattinata, il 22 febbraio ha dato un saggio della sua eccezionale capacità di commettere gaffe evocando il rischio – un’ipotesi poi malamente corretta – della formazione post-voto, in Italia, di un governo non operativo. L’impatto sui mercati è stato immediato, a dimostrazione del deficit di lucidità che si manifesta con queste dichiarazioni. Poi il 23 vi è stato l’incontro con il premier, Paolo Gentiloni. Che la costituzione del governo non sarà affatto facile è un dato di fatto. Ma la cosa è ben diversa se a ipotizzare una tale eventualità è il presidente della Commissione Ue e soprattutto se questi immagina addirittura un esecutivo non operativo, cioè un impossibile governo convitato di pietra, ingerendosi assai maldestramente nelle scelte degli elettori italiani e non pensando che in questo modo possa registrarsi una reazione contraria a quella da lui auspicata magari confusamente, come non di rado è nello stile dell’uomo.

Ma l’aspetto ulteriormente grave è dato dal fatto che, mentre si evidenziano questi rischi, ci si muove nell’Unione e nell’Eurozona per predisporre le condizioni dell’assegnazione di nuove cariche, a tal fine utilizzando anche l’insediamento di enti e Authority. L’ultimo atto, in tal senso, è stato il parere favorevole dell’Eurogruppo alla nomina di Luis de Guindos, ministro delle Finanze spagnolo e membro dello stesso Eurogruppo, alla vicepresidenza della Bce dando così la dimostrazione, non di una porta, bensì di un portone girevole, nei confronti del quale non si sono sentite critiche da parte di nessuno dei membri del citato organismo, fino all’affermazione del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan secondo il quale, se la nomina sarà un danno per la Bce, lo si potrà constatare solo dopo, quando si valuterà, evidentemente, il lavoro di de Guindos, alla faccia delle incompatibilità e dei conflitti di interesse. Ma per raggiungere questo risultato, si è dovuto escludere dalla contesa la candidatura di Philip Lane, governatore della Banca d’Irlanda, il quale spontaneamente si è ritirato, con quella che sarebbe stata la promessa di una sua successiva nomina nell’esecutivo dell’Istituto di Francoforte. Lo sviluppo di un grande sinallagma fatto di tanti do ut des. Intanto, si è deciso di trasferire l’Eba – che sarebbe stato opportuno, invece, sopprimere – da Londra, stante Brexit, a Parigi, dopo che la Germania, in un primo momento interessata a tale insediamento, è stata d’accordo per l’assegnazione alla Francia, evidentemente in vista di contropartite che riguarderebbero la Bce. L’Ema, previo sorteggio, è stata attribuita all’Olanda, anche se la scelta è ancora sub iudice. Il capo di Gabinetto di Juncker, il falco tedesco Martin Selmayr, è stato chiamato al più importante e impegnativo grado di segretario generale esecutivo della Commissione che gli potrà consentire, se vorrà, di fare e disfare.

Si profila, dunque, da un lato, uno schieramento composto da Germania, Francia, Spagna, Olanda (e altri satelliti tedeschi), dall’altro lato, il resto dei Paesi dell’Eurozona e dell’Unione. Incombono certamente le prossime elezioni all’Europarlamento. Ma, con la predisposizione di diverse pedine, un accordo tacito potrebbe delinearsi, ora che anzitempo ritornano indiscrezioni e dibattiti sulla successione a Mario Draghi, alla fine del 2019, per la nomina del presidente della Bce, per l’ingresso nell’esecutivo di quest’ultima di alcuni nuovi membri, per la nomina del presidente della Vigilanza unica, cessando il mandato di madame Danièle Nouy il prossimo dicembre, nonché per alcune presenze nel relativo board. La costituenda Grosse Koalition tedesca sembra avere sin d’ora sponsorizzato il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, quale successore di Draghi, incurante del contrasto evidente della linea sostenuta da Weidmann con quella dell’attuale presidente.

La posizione italiana al riguardo appare di completa atarassia, per non dire di ingiustificata estraneità. L’intento di rassicurare, da parte del governo italiano, rischia di sconfinare dai limiti del doveroso e dell’opportuno perché bisognerebbe esigere che anche altri diano rassicurazioni mentre alcuni, come nel caso di Juncker, dovrebbero invece rassicurare direttamente noi. Ma, poi, occorre stare nei giochi. Possibile che non si abbia nulla da dire sulla prossima pubblicazione della proposta della Commissione sui prestiti deteriorati e dell’addendum della Vigilanza unica, senza un doveroso coordinamento e dopo i rilievi fortemente critici che quest’ultimo testo ha subito ad opera dei Servizi giuridici dell’Europarlamento e del Consiglio? Possibile che non vi sia nulla da osservare sul modo del tutto inadeguato con cui viene esercitata la Vigilanza unica? È l’impegno elettorale, tutto concentrato su libri dei sogni e contributi dei grillini, a distogliere da quanto avviene in Europa o si conferma l’ormai tradizionale incapacità di incidere nell’Unione, dimostrata a proposito della Direttiva Brrd, con il bail-in e in corso di dimostrazione con il Fiscal compact? Non avrebbero dovuto essere le istituzioni e il futuro dell’Europa, nonché le cariche istituzionali temi propri anche della campagna elettorale, diventata, purtroppo, la peggiore che, invece, si ricordi nell’ultimo mezzo secolo? Non c’è il rischio che il governo dimostri, in questo caso sì, di non essere operativo nei confronti di quel che accade in Europa nel versante dell’economia e del credito? Come si può pensare e concorrere sia pure di rimessa a progettare un’evoluzione delle istituzioni europee addirittura verso un’integrazione di bilancio, quando non si dice alcunché sulle resistenze di tedeschi e satelliti a istituire l’assicurazione europea dei depositi, parte centrale del disegno di Unione bancaria? Insomma, si avverte sempre più l’esigenza, non certo dell’inutile battere i pugni sui tavoli dell’Unione e neppure di essere proattivi (che potrebbe essere troppo), quanto almeno di essere costantemente presenti, da parte di chi è al governo, su temi quali quelli indicati e di essere capaci di costruire una propria posizione, necessaria anche per qualsiasi confronto dialettico.

 

 

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