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Fintech

Dagli Usa all’Ue: la finanza tradizionale è sempre più Fintech

In Spagna, Uk e Germania fioriscono partnership con le startup del Fintech. In Italia terreno fertile nelle banche di territorio​   Se il Fintech non va dalla finanza, allora la finanza va dal Fintech. Mentre in Italia gli operatori tradizionali provano a rispondere con prodotti sempre più innovativi, negli Stati Uniti dell’era Trump e nell’Europa…

In Spagna, Uk e Germania fioriscono partnership con le startup del Fintech. In Italia terreno fertile nelle banche di territorio​

 

Se il Fintech non va dalla finanza, allora la finanza va dal Fintech. Mentre in Italia gli operatori tradizionali provano a rispondere con prodotti sempre più innovativi, negli Stati Uniti dell’era Trump e nell’Europa anglosassone (ma non solo) è in atto un inaspettato avvicinamento tra finanza tradizionale e Fintech.

Il primo dato arriva direttamente dagli Usa, dove secondo una ricerca del colosso della consulenza Manatt, il 72% dei manager a capo di banche regionali o locali degli Usa ha pianificato una partnership con start-up del Fintech, nel corso nei prossimi 12-18 mesi. In altre parole, per sette istituti su dieci, tra quelli di fascia media, è sconveniente e dispersivo tentare di contrastare il fenomeno (che vale nel mondo circa 1000 miliardi) con mezzi propri. Meglio dunque scendere a patti, importando la tecnologia delle startup al proprio interno. Discorso che non vale per giganti come Morgan Stanley o Goldman Sachs, dotate di proprie strutture Fintech in-house.

E anche in Europa qualcosa si sta muovendo nella direzione finanza tradizionale verso Fintech. Ad aprire i giochi è stata la spagnola Santander, prima banca europea, fortemente radicata al territorio, a chiudere un accordo con un operatore di marketplace lending nel settore dei prestiti alle pmi, ovvero Funding Circle.

La stessa Funding Circle, nel 2015, ha stretto un accordo strategico con un’altra istituzione finanziaria di primo livello, la britannica Royal Bank of Scotland. L’istituto, ha fatto suo l’invito del governo inglese a dirottare le imprese i cui requisiti non collimano con quelli bancari alle varie forme di finanza alternativa, di cui il Fintech è espressione. Rimanendo sempre nell’orbita anglosassone, la londinese Metrobank, ha di recente investito direttamente nella piattaforma Zopa, nei prestiti ai consumatori privati. Senza considerare che a Londra risiede il più importante incubatore europeo d start up finanziarie, nel quartiere di Canary Wharf.

Anche la Germania non è stata a guardare. Oltre a vantare la maggiore tra le start-up europee attiva nel Fintech, la N26, Deutsche Bank, ha completato un’innovativa operazione di financing attraverso l’emissione di un bond da 150 milioni di sterline, con sottostante i prestiti al consumo del fondo P2P Global Investments (P2PGI), con cui la banca ha stretto una partnership poche settimane fa. Si tratta della prima volta in Europa e apre la strada a nuove forme di finanziamenti istituzionali per il p2p.

Ma mentre l’Europa tenta di avvicinarsi al Fintech, l’Italia che fa? Il Bel Paese, come più volte raccontato da Startmag, si sta lentamente mettendo in scia, con una prima regolamentazione arrivata dalla Banca d’Italia, che ha riconosciuto i prestiti peer-to-peer. Il Fintech potrebbe trovare terreno fertile soprattutto nella microfinanza, dunque tra le banche minori. Spesso infatti le piccole e medie imprese faticano ad avere le condizioni per ottenere un prestito, rivolgendosi a società attive nel social lending o nel peer to peer. Di qui l’obbligo per le banche maggiormente legate al territorio (come le popolari o le banche cooperative) di stringere accordi con le startup del Fintech per non perdere clienti.

Gianluca Zapponini

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