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Boccia Confindustria

Ecco cosa (non) dice la Confindustria di Boccia su privatizzazioni e liberalizzazioni

In 32 pagine di documento “elettorale” di Confindustria nemmeno una volta compare la parola “privatizzazioni”, nemmeno una volta ci sono le parole “liberalizzazione” o “liberalizzazioni”, 30 volte invece fa capolino la parola “investimenti”. Sono cambiati i tempi o sono cambiati gli uomini? Di sicuro non c’è traccia di turbo-liberismo nella relazione confindustriale presentata venerdì scorso…

In 32 pagine di documento “elettorale” di Confindustria nemmeno una volta compare la parola “privatizzazioni”, nemmeno una volta ci sono le parole “liberalizzazione” o “liberalizzazioni”, 30 volte invece fa capolino la parola “investimenti”.

Sono cambiati i tempi o sono cambiati gli uomini? Di sicuro non c’è traccia di turbo-liberismo nella relazione confindustriale presentata venerdì scorso a Verona nell’assise 2018 della confederazione degli industriali in vista del voto del 4 marzo.

Non sono un caso le assenze e le presenze nel documento. Le enfasi sulle riduzioni fiscali e sulle dismissioni di asset pubblici – se ci sono – sono molto attenute rispetto a documenti e relazioni degli anni precedenti.

Emblematici alcuni passaggi del documento intitolato “La visione e la proposta”. Ecco quello contenuto nel paragrafo sulle grandi opere: “Se è ovvio che la dotazione infrastrutturale è precondizione della crescita, meno ovvio è il
ruolo sociale delle stesse. Le infrastrutture sono un forte elemento di inclusione perché collegano
i territori, le periferie ai centri, le città tra di loro, l’Italia al mondo, dando un senso di maggiore
coesione nel Paese”.

Il fisco? Ecco la premessa, per nulla friedmaniana: “In primo luogo è un tema di governance: la politica fiscale ha bisogno di una regia chiara, ferma e coerente, che sappia essere immune da manovre volte solo a captare consenso politico e da interventi non sistematici e caotici”.

Beninteso, nelle proposte della confederazione presieduta da Vincenzo Boccia si auspica che non si smantellino dopo le elezioni riforme come il Jobs Act e la Fornero. Così come la manovra di politica economica evocata dagli industriali ha come obiettivo anche la diminuzione della pressione fiscale sulle imprese, ma nulla di “ideologico” e molto di pragmatico. E le risorse si troveranno anche dal taglio della spesa pubblica.

Il piano a medio termine che Confindustria propone al dibattito politico punta a reperire e impiegare “250 miliardi in 5 anni”. Si propone gli obiettivi “di oltre 1,8 milioni di occupati in più, una riduzione di più di 20 punti del rapporto debito/Pil, una crescita cumulata per Pil reale vicino a 12 punti percentuali, una crescita dell’export consistentemente superiore alla domanda mondiale”.

E le risorse? “Non è un libro dei sogni”, dice Boccia. Circa 120 miliardi potrebbero arrivare dal taglio della spesa pubblica, che non è solo spending review e lotta all’evasione fiscale, ma anche redistribuzione attraverso “la compartecipazione dei cittadini ai servizi offerti in modo progressivo rispetto a reddito e patrimonio”, come scuola, università e trasporto pubblico locale, da compensare con un fisco generale più leggero.

Poi alla somma di 250 miliardi si arriva calcolando che l’Europa “potrebbe contribuire fino a 93 miliardi di euro” liberando risorse “per investire in infrastrutture, formazione, ricerca e innovazione”; mentre il settore privato “potrebbe contribuire fino a 38 miliardi di euro” investendo sull’economia reale e orientandosi su obiettivi di politica economica.

Le risorse liberate servirebbero ad alleggerire la pressione fiscale per premiare le imprese che “investono, assumono e innovano”, andando avanti sulla strada della riduzione del costo del lavoro e puntando alla decontribuzione triennale totale per i giovani assunti a tempo indeterminato. Un piano per “recuperare buon senso e pragmatismo”, per andare avanti e non indietro e, dunque, guai a “smontare le cose che vanno bene, al di là delle ideologie”.

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