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Come va davvero l’economia americana (Trump comunque gongola)

L’approfondimento di Emanuele Rossi sulle dinamiche dell’economia statunitense tra fatti, numeri e commenti Venerdì tutti i listini borsistici americani — ma non solo — sono crollati (Dow Jones -2,54%, S&P500 -2,12%, Nasdaq -1,96%), invertendo una tendenza consolidata su cui il presidente Donald Trump ha piantato gran parte della narrativa positiva della sua amministrazione: un nuovo…

L’approfondimento di Emanuele Rossi sulle dinamiche dell’economia statunitense tra fatti, numeri e commenti
Venerdì tutti i listini borsistici americani — ma non solo — sono crollati (Dow Jones -2,54%, S&P500 -2,12%, Nasdaq -1,96%), invertendo una tendenza consolidata su cui il presidente Donald Trump ha piantato gran parte della narrativa positiva della sua amministrazione: un nuovo boom economico.
Attenzione: l’America corre, continua a correre, non si ferma, in una crescita che è di fatto iniziata da mesi e non per semplice fiducia sulle abilità del presidente. Per dirne una, nel 2013 l’attuale direttore della Stampa, Maurizio Molinari, scrisse “L’Aquila e la Farfalla”; Molinari, ai tempi corrispondente da Washington, prevedeva nel suo saggio questa crescita già in un momento difficile per l’economia americana. O ancora: mentre Wall Street soffriva da giorni (chiudendo la peggior settimana dal 2015), sempre venerdì, sono usciti ottimi i dati mensili sull’occupazione; a gennaio l’economia americana ha creato 200 mila nuovi posti di lavoro e i salari dei lavoratori sono cresciuti del 2,9% su base annuale. Si tratta del maggior rialzo da giugno 2009, con il dato della disoccupazione ai minimi. Ma la borsa è volatile. Contro-dato, allora: la crescita salariale lascia pensare a un aumento rapido dell’inflazione, e questo potrebbe incoraggiare la Fed a una politica più aggressiva sui tassi (il capo della Fed di Dallas ne ha parlato apertamente). La cosa ha spinto le vendite dei titoli del Tesoro americano (seguendo ciò che era successo già dopo l’ultima riunione del board che sarà guidato da Jerome Powell).
elezioni USaLa crescita economica, e la sinusoide finanziaria, sembrano essere fenomeni per ora in buona parte scollegati dalla presidenza; comunque, Trump ne rivendica i risultati, trasformando per esempio il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione in un comizio elettorale su ciò che — dice lui — l’amministrazione ha fatto per l’economia (nota: è piuttosto evidente che l’obiettivo ultimo della presidenza Trump sia la prosperità americana, Make America Great Again attraverso l’America First, per riprendere due claim elettorali già storici, e questo è diventato palese con la presentazione del piano strategico sulla sicurezza nazionale, che nell’ottica trumpiana ha preso la declinazione di sicurezza economica).
E dunque, cos’è che (retorica del consenso a parte) ha prodotto questo quadro? Si tratta di congiunture globali (termine che il presidente americano non ama), che spingono la crescita, così come gli improvvisi cali delle Borse (venerdì con Wall Street hanno perso anche Londra -0,63%, Parigi -1,64%, Francoforte -1,68%, Madrid – 1,81% e Milano -1,44%). Secondo un’analisi di Morya Longo sul Sole 24 Ore, c’è da tenere conto di quattro punti: l’economia anche quest’anno crescerà in tutto il mondo sincronizzata (stime dicono che nel mondo solo sei Paesi su 206 chiuderanno il 2018 ancora in recessione: se così fosse sarebbe il record da molti decenni); l’inflazione, pur più elevata rispetto a qualche anno fa, resterà bassa e sotto gli obiettivi delle banche centrali; proprio grazie alla bassa inflazione le banche centrali potranno ridurre gli stimoli monetari molto, ma molto, lentamente.; questo contesto di crescita economica e di tassi ancora bassi potrebbe pompare gli utili delle aziende (“A livello mondiale si attende per il 2018 una crescita dei profitti del 12%: quasi il doppio della media storica”).
A questa costellazione di segnali positivi, negli ultimi giorni si sono sovrapposti indizi di scetticismo. A cominciare per esempio dalla stessa crescita salariale americana, che come detto potrebbe al limite spingere la Fed ad aumentare i tassi più rapidamente (mentre i mercati si sono abituati a valori bassi). Situazioni analoghe si sono segnate in Europa, sommate anche ai primi dati non troppo ottimistico sul fatturato di colossi come Exxon Mobil e Chevron in America (o Deutsche Bank e BT Group in Europa). Insomma, è bastato rallentare lo storytelling positivo generale per bloccare le Borse, scrive Longo. E questo con e nonostante Trump, che ha invece continuato a sottolineare (con una strumentalizzazione politica ovvia e legittima certo) i successi dell’economia americana anche mentre Wall Street perdeva minuti dopo minuto — senza invertire la tendenza.
Emanuele Rossi
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