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Tav e non solo. Così Conte è diventato un vero premier. Il corsivo di Cazzola

Venuto il momento di dire una parola definitiva sull’affaire Tav, Conte ha cestinato le analisi costi-benefici artefatte di Danilo Toninelli e ha dichiarato che l’opera sarà compiuta, perché conviene al Paese. Il commento di Giuliano Cazzola

 

C’era un proverbio dei nativi americani che ben si adatta a Giuseppe Conte: “Tra i corvi anche un falco sembra un’aquila’’.

Il premier, strada facendo, è cresciuto. Se all’inizio del suo mandato più che un “avvocato del popolo’’ somigliava al legale dei suoi due vice, “messo lì nella vigna a far da palo’’, pronto ad eseguire i loro ordini, magari accontentandosi di fornire qualche consiglio in privato (clamorose furono le sue retromarce su temi delicati dopo le sfuriate di Matteo Salvini e patetiche le sue telefonate da Bruxelles per ottenere il via libera), ora sembra aver preso sul serio l’incarico che gli era stato affidato “un po’ per celia, un po’ per non morir’’.

E’ lui l’interlocutore dei ‘’burocrati di Bruxelles’’. Ha capito dove si prendono le decisioni vere e si è reso conto che conviene avere accesso nella “stanza dei bottoni’’, sia pure da un ingresso di servizio e chiedendo educatamente il permesso di entrare. E’ il riferimento del Quirinale nell’ambito del governo. Uomo di mediazione tra le opinioni altrui, ha imparato a fare sintesi mettendoci del suo.

Quando ci fu da negoziare con la Commissione i contenuti della manovra per l’anno in corso, nonostante i clamori volgari provenienti dagli ottimati della maggioranza, con un vero e proprio colpo di teatro, modificò, insieme al ministro Tria, l’ordine dei decimali (da 2,4 a 2,04) del deficit, con i conseguenti tagli alla spesa per quota 100 e il reddito di cittadinanza, in barba ai brindisi festosi dei pentastellati.

Qualche mese dopo con l’assestamento di bilancio il premier ha di nuovo disarmato la procedura di infrazione riducendo al silenzio i suoi due vice (in particolare Capitan Fracassa) e costringendoli a marinare la seduta del Consiglio dei ministri che sottoscrisse l’atto di resa.

Venuto il momento di dire una parola definitiva sull’affaire Tav (la lettera inviata nella primavera scorsa alla società di gestione era stata un capolavoro del ‘’dire e non dire’’ nel medesimo tempo) Conte ha cestinato le analisi costi-benefici artefatte di Danilo Toninelli e ha dichiarato che l’opera sarà compiuta, perché conviene al Paese.

Come è stato possibile che un signore deriso dai comici, considerato un Carneade e privo di appoggi politici, tanto da poter essere definito un “burattino’’ (in verità ha una forte somiglianza con Pinocchio) in una seduta del Parlamento europeo, sia divenuto nel giro di qualche mese un decisore di ultima istanza?

Conte ha saputo approfittare del terrore dei pentastellati per un eventuale voto anticipato tanto convincerli che è lui quello che può evitare loro il “salto nel buio’’.

E con Salvini? Il Capitano è consapevole che il Russiagate gli creerà dei problemi seri non solo con la giustizia ma con la stessa opinione pubblica (anche se i media di regime si sforzano a sostenere che agli italiani quella vicenda non interessa).

Come nel caso della nave Diciotti ha bisogno di essere salvato da un voto del Parlamento. Così Salvini attende, in totale apnea, il discorso che il premier farà al Senato perché Conte è in grado di garantirgli il sostegno del M5S (e, quanto meno, il silenzio del Quirinale) quando il gioco si farà duro.

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