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No Tav? Un favore alla Germania. Parla il prof. Pennisi

C’è il rischio che, senza Tav, parte dei flussi si dirigano ad Amburgo (penalizzando Genova e Trieste) e l’intero schema si indebolirebbe. Parola di Giuseppe Pennisi, economista ed editorialista

I Sì Tav ieri hanno fatto il bis a Torino e scendono ancora una volta in piazza: al loro fianco, e a fianco delle ‘madamine’, si ritrovano il Pd con l’ex segretario e candidato alla segreteria Maurizio Martina e il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, Forza Italia con il presidente della Liguria Giovanni Toti e, soprattutto, la Lega.

Hanno sfilato non solo esponenti locali ma anche Maurizio Molinari, segretario piemontese e pure capogruppo del partito di Salvini alla Camera. Molinari si è appellato al “contratto” che serve a “mitigare posizioni differenti, a trovare un compromesso”, come è accaduto – ha osservato – per il Tap e per il Terzo Valico.

Questa volta però a complicare le scelte c’e’ anche la ‘minaccia’ referendum: lo ha invocato Chiamparino e pure Salvini. Il vicepremier e ministro dell’Interno tira fuori i “referendum propositivi che sono – anche quelli – nel contratto e dice che “se sul Tav non c’è un accordo politico la parola passa agli italiani. Ho ben chiaro in testa – chiosa – che voterei a favore dello sviluppo e della crescita”.

La soluzione resta però difficile da immaginare, perché se è vero che la Lega apre all’ipotesi di una revisione del progetto non è detto che questo sia sufficiente ai vertici 5S per dare il via libera a un’opera che la base contesta da sempre e che oggi torna a bocciare anche il padre del Movimento.

Ecco la conversazione di Start Magazine con Giuseppe Pennisi, economista ed editorialista

Professore, al ministro delle Infrastrutture è stata consegnata la relazione preliminare sui costi e sui benefici della Torino-Lione chiesta dal ministro Toninelli. Ora sarà il governo a decidere. Concorda col metodo?

Il dicastero dovrebbe esaminare però anche uno studio gemello: quello sui costi globali che graverebbero sull’erario ove si decidesse di non andare avanti. Comunque, da quel che filtra, l’aspetto più preoccupante è il metodo adottato: è stata seguita un’analisi pensata per investimenti marginali ed i cui costi e ricavi specifici si dipanano per un numero limitato di anni.

Che significa “marginali”?

Marginale vuol dire che l’investimento non incide sulle strutture dell’economia. Mentre l’obiettivo della Tav è di lungo periodo: modificare il sistema di trasporti nel corridoio Lisbona-Kiev al fine di accorciarne i tempi, ridurne i costi ed aumentare la produttività dei fattori di produzione.

E come come si fa a valutare gli investimenti non marginali?

Per tenere conto dell’incertezza nelle stime (ad esempio, le quantità delle varie modalità di trasporto – su ferro, su gomma – e dei loro prezzi relativi) nel lungo periodo, ci sono due strade.

Ad esempio?

Quella più tradizionale, che consiste nell’usare la versione moderna di quello che in Francia ed è chiamato ‘il metodo degli effetti’, ossia tracciare con un modello econometrico le implicazioni dell’investimento sulle strutture dell’economia, quindi trovare la soluzione ottimale. Analisi di questo tipo sono state fatte dalla Francia, anche per il tunnel della Manica. Tuttavia, da 30 anni, per investimenti di grandi dimensioni e di lunga vita è stata introdotta la tecnica delle ‘opzioni reali’.

Insomma, lei è arrivato alla conclusione che la Tav serve. Ho capito bene?

Certo. In assenza o per i ritardi della Tav c’è una crescente diversione di traffico merci sulla costa, con conseguente aumento dell’inquinamento della Riviera – una delle ragioni che spinge la Francia ad accelerare – e di un aggravio, sempre in Riviera, di traffico di mezzi pesanti: chi ha causato i ritardi nell’attuazione della Tav ha parte della responsabilità morale del crollo del Ponte Morandi. Ma c’è un altro aspetto da tenere conto.

Quale?

La centralità della Tav nella logistica del trasporto di merci nel Nord Italia (ampliamento dei porti di Genova e Trieste, raddoppio del valico del Brennero). C’è comunque il rischio che, senza Tav, parte dei flussi si dirigano ad Amburgo (penalizzando Genova e Trieste) e l’intero schema si indebolirebbe.

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