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Consigli non richiesti al governo su Ponte Morandi, Gronda e Autostrade per l’Italia

L’articolo dell’editorialista Guido Salerno Aletta su cosa fare e che cosa non fare dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova e il compito di Stato e Autostrade per l'Italia

Primum vivere. Il crollo a Genova del viadotto Morandi impone una strategia complessiva, da adottare in via d’urgenza: è l’unico passante autostradale collega il Levante al Ponente della Liguria, intersecandosi da una parte con i collegamenti verso Milano e verso Livorno, e dall’altra con la prosecuzione della direttrice costiera che giunge a Ventimiglia,.

Serve una valutazione d’insieme delle conseguenze che ne stanno derivando sul sistema dei trasporti, tenendo conto soprattutto della necessità di assicurare la funzionalità del porto di Genova. In questo caso, occorre evitare la distorsione dei traffici internazionali che approdano qui per poi proseguire verso destinazioni internazionali, e che potrebbero rapidamente spostarsi non tanto su Livorno, ma verso altri porti del Nord Europa.

Senza voler evocare gli scenari futuribili ed ancora complessi derivanti dalla realizzazione della Nuova Via della Seta, che potrebbe Genova avere tra i suoi terminali nel Mediterraneo settentrionale, è indispensabile evitare che ai già ingentissimi danni emergenti si aggiunga un ulteriore e definitivo lucro cessante. Si manderebbero in fumo tanti altri interventi in corso di realizzazione.

Il collasso di poche centinaia di metri del viadotto comporta un incremento nei tempi e nei costi di percorrenza. I percorsi alternativi che vengono già ufficialmente suggeriti per le diverse direttrici di traffico sono spesso impegnativi in termini di maggiore distanza, soprattutto nel collegamento tra Ventimiglia e Livorno: in questo caso si tratta di circa un centinaio di chilometri in più.

Bisogna affrontare questa prima emergenza: i maggiori costi per l’utenza devono poter essere immediatamente quantificati, liquidati contabilmente, e ribaltati sul soggetto responsabile dell’accaduto. Chi utilizza i percorsi, ovvero i mezzi di trasporto alternativi che verranno definiti per le diverse direttrici, come potrebbero essere i convogli ferroviari per le merci in transito da o verso il porto di Genova, dovrà ricevere un credito pecuniario che lo sgravi dei maggiori costi sostenuti, da utilizzare attraverso l’utilizzo di altri itinerari autostradali in Italia.

Un GE/Pass sarebbe una soluzione sostanzialmente analoga a quella denominata Ecobonus, assunta a favore del traffico merci per ovviare ai disagi derivanti dai lavori di rifacimento della autostrada Salerno – Reggio Calabria: in quel caso, per evitare gli imbottigliamenti derivanti dalla presenza dei mezzi pesanti sul percorso ad una sola carreggiata per senso di marcia, venne adottato un sistema di rimborsi-incentivo per chi utilizzava i collegamenti alternativi via mare.

Si tratta di una precondizione, questa, da soddisfare immediatamente. Per cinque motivi: evitare di decidere in modo irrazionale, preferendo la ricostruzione del medesimo manufatto in situ solo per via dell’urgenza, ed abbandonando il più articolato e definitivo progetto di Gronda alta; in secondo luogo, come già accennato, fare in modo che gli utenti non subiscano nel frattempo un danno economico; parimenti, occorre impedire che l’intera economia dell’Italia nord occidentale sia oggetto di pericolosi contraccolpi nel comparto produttivo e dei trasporti.

E’ poi indispensabile rimediare al danno reputazionale che l’Italia nel suo complesso ha già subito a livello internazionale: sulla stampa britannica c’è già stato chi ha pesantemente alluso alla vicenda, ritenendola rappresentativa dello sfascio dell’intero sistema politico italiano.

Infine, si tratta di togliere la pistola dal tavolo, che un po’ tutti stanno cercando di afferrare per regolare i conti o per difendersi in una partita di enorme peso politico, economico e finanziario, che riguarda gli assetti di potere. Da una parte c’è chi vuole agire, usando anche la pressione mediatica, per accelerare sulla revoca della concessione ed aprire il vaso di Pandora che verrebbe ereditato dal passato; dall’altra c’è chi cerca di trovare spazio auspicando che il Concessionario cominci a rimediare ai danni verificatisi.

Occorre un segnale chiaro, già nel metodo. Chi ha sbagliato deve farsi carico dei danni che ha provocato, senza procedere a strappi né far balenare una trattativa a sconti. Anche sui mercati non stiamo facendo un figurone: bisogna recuperare.

Si deve isolare giuridicamente la questione specifica, rappresentata dal risarcimento dei danni causati dal crollo del viadotto Morandi e della necessità di procedere alla costruzione della Gronda ovvero alla ricostruzione in situ, dalla più ampia questione politica ed amministrativa che investe la concessione, che vanno dalla irrogazione di una multa alla revoca.

Va prevista una procedura incidentale, rispettosa delle competenze territoriali, delle istanze sociali, degli interessi degli utenti e di quelli delle imprese, strettamente vincolata nei tempi e nelle conseguenze delle decisioni, specie in termini di autorizzazioni urbanistiche ed ambientali. A questo fine, va stralciato dagli accordi in essere tutto quanto fin qui è stato definito in ordine alla realizzazione dell’opera, in termini sia di oneri che di compensazioni. Le alternative al viadotto già ci sono, allo studio da decenni.

A quel punto, si bandisce una gara per la realizzazione dell’opera, che afferirà alla concessione della A10 chiunque ne sia il titolare. Non mancano in Italia e nel mondo imprese di costruzioni con l’esperienza e le spalle abbastanza larghe da assumersi impegni vincolanti anche sui tempi di realizzazione. Questo sarebbe il segnale di un vero cambiamento.

Gli animi sono ancora scossi per la tragedia, ma c’è ormai una diffusa consapevolezza circa la necessità di riprendere ad effettuare gli investimenti in infrastrutture di interesse generale. Bisogna passare dal dire al fare. Non è tempo di filosofare.

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