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Auto Elettrica

Il mito: l’auto e la modernità

L’approfondimento di Bisegna Augusto&Giuseppe e Carlo D’Onofrio “C’è chi vede che il paesaggio sta cambiando/Che la macchina oramai non ha più traino/Anche davanti alle evidenze nessuno scende/Perché da sempre niente è stato mai più seducente”. Hanno davvero ragione Marracash e Neffa a cantare così della “macchina”, nell’omonima canzone? A dire oltre tutto che “niente è…

“C’è chi vede che il paesaggio sta cambiando/Che la macchina oramai non ha più traino/Anche davanti alle evidenze nessuno scende/Perché da sempre niente è stato mai più seducente”.

Hanno davvero ragione Marracash e Neffa a cantare così della “macchina”, nell’omonima canzone? A dire oltre tutto che “niente è come stare nella macchina”? A quanto pare sì, se pensiamo che dall’inizio del ‘900 ad oggi nulla come l’automobile ha modificato e plasmato cosi profondamente la società.

L’idea di affrancarsi dalla trazione animale o dalla forza umana per spostarsi da un luogo all’altro o per svolgere un lavoro è da sempre iscritta nella mente dell’uomo. Già nel XIII secolo Ruggero Bacone era dell’idea che “arriveremo a imprimere ai carri incredibili velocità senza l’aiuto di alcun animale”.

Nell’estate del 1769 Joseph Nicolas Cugnot, un ingegnere militare, testò per il governo francese insieme al collega Brézin un carro semovente azionato da un motore bicilindrico a vapore, con una cilindrata strabiliante per i canoni odierni: ben 64.000 cm cubici! Il mezzo, che raggiungeva quasi i 10 km orari, andò a schiantarsi contro un muro. Diciamo che la storia dell’auto si apre con questo episodio bizzarro.

In realtà perché si entri nell’era dell’automobile occorre attendere più di un secolo. E’ il 1886 quando l’ingegnere tedesco Karl Benz, sfruttando un motore a quattro tempi sviluppato da Nikolas August Otto, costruisce e brevetta la Benz Patent Motorwagen, un triciclo con grandi ruote a raggi.

In Italia il debutto è del 1894, quando la Società Motori Bernardi di Padova mette in produzione i primi esemplari di tricicli e quadricicli a motore. Sarebbe sbagliato pensare ad un immediato successo. I primi passi sono stentati e nel 1905, dieci anni dopo, il parco circolante è ancora limitato a 2.119 autovetture, concentrate principalmente al nord.

Prima che come bene di consumo di massa, l’auto penetra nell’immaginario collettivo grazie a quel succedaneo del mito che sono le competizioni sportive. La prima gara automobilistica è la Parigi-Rouen del 1894, in cui si sfidano le De Dion-Bouton, le Panhard-Levassor, le Peugeot e le Benz & Cie. In Italia i pionieri dell’auto si confrontano nel 1895 sul tracciato della Torino-Asti-Torino, mentre l’anno successivo è il Corriere della Sera ad organizzare un giro d’Italia in automobile cui partecipano 25 concorrenti.

L’importanza delle corse travalica la competizione sportiva. I costruttori le concepiscono come un veicolo di marketing e, soprattutto, come un’arena di mercato nella quale farsi concorrenza e dimostrare al pubblico la maggiore efficienza e il più elevato standard tecnologico raggiunto dai propri modelli rispetto a quelli rivali.

Agli inizi, per quanto strano possa sembrare, i motori alimentati a benzina sono quelli meno diffusi. I due primissimi record di velocità registrati dalle cronache – 64 km/h nel 1898 e oltre 100 km/h nel 1899 – li realizzano due auto…elettriche!

I costruttori che si sfidano in pista e sul mercato – alcuni dei quali destinati a scomparire in breve tempo, altri a divenire colossi dell’automotive – sono in realtà aziende di tipo quasi artigianale, che sfornano poche vetture dai costi non certo popolari e riservate quindi agli strati più alti della società. Ma non sono solo ostacoli di natura economia a frenare la loro diffusione, pesano anche ritrosie di carattere propriamente sociale e morale.

Ad imprimere un’accelerazione al corso degli eventi è Henry Ford. Nel 1908, grazie all’entrata in produzione della Model T, per la prima volta nella storia dell’industria la catena di montaggio viene applicata all automobile. Va precisato però che i concetti base della catena di montaggio vennero impiegati, già prima di Ford, dalla Oldsmobile per la costruzione della Curved Dash. Il merito di Ford fu però quello di fare della catena di montaggio una procedura standardizzata con la divisione dei ruoli degli operai, un largo uso del nastro trasportatore, l’utilizzo di componenti intercambiabili. Combinando questi fattori si arrivava ad un drastico abbattimento dei tempi (una Model T veniva costruita in 93 minuti) e dei costi di produzione.

Durante tutto l’arco produttivo della vettura, pari a 19 anni, vennero prodotte 15.007.033 esemplari, una cifra considerevole per gli standard dell’epoca. La Model T costava circa 850 dollari, contro i 2000/3000 necessari per le concorrenti; e la cifra andò via via diminuendo man mano che la catena di montaggio diveniva più efficiente. Le ultime serie della Model T si aggiravano sui 300 dollari per l’allestimento base e circa 580 per la versione più lussuosa.

L’avvento e la diffusione della catena di montaggio, adottata anche dagli altri produttori di auto e in seguito anche da altri settori dell’industria, ebbe però dei risvolti prima d’allora impensabili. La possibilità di produrre un bene in serie con bassi costi fu il primo vagito della della società dei consumi di massa. Adesso l’operaio poteva acquistare ciò che produceva.

Il lavoro altamente ripetitivo e razionalizzato – caratteristico della filosofia di produzione fordista – prevedeva un’intensa sottomissione dell’operaio alle logiche organizzative della catena di montaggio. I movimenti, che dovevano essere minimi e calcolati, insieme alla precisa scansione del tempo necessario ad ogni operazione, iniziarono a causare delle patologie psicologiche fino a quel momento sconosciute. Gli operai erano spesso colpiti da disturbi motori, alienazione e disturbi psichici. Il lungometraggio di Charlie Chaplin, Tempi Moderni, con la sua vena di amara comicità, forse è il miglior “documentario” sulla rivoluzione economica e sociale che la catena di montaggio mise in moto nella società americana ed in quella europea.

Come abbiamo visto, l’automobile si diffuse più facilmente nell’immaginario collettivo che sulle strade, ancora bianche e poco sicure, della vecchia Europa e dell’Italia. Un potentissimo aiuto venne però dalle avanguardie che ai primi del ‘900 rivoluzionarono le arti figurative e, in generale, tutta la cultura europea. Proprio in Italia il Futurismo fece dell’auto il simbolo di una nuova epoca e di una nuova sensibilità, celebrandone come mai prima (e forse come neppure in seguito) le virtù. L’auto cantata da Marinetti, con i suoi “grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo, ruggente che sembra correre sulla mitraglia e più bella della vittoria di Samotracia”, assurse a tema principe della poetica futurista, incarnando appieno gli ideali del movimento, fatti di pragmatismo, velocità, potenza: tutte caratteristiche in netta rottura, secondo i futuristi, con un passato modellato da canoni sociali e artistici lenti, pensosi, immobili.

Con l’automobile ci si poteva muovere velocemente e autonomamente da un punto all’altro, il che permetteva una diversa fruizione del tempo e dello spazio, fino ad alterare la normale percezione della realtà. Il flusso costante di sensazioni che la velocità e il dinamismo insiti nel movimento della macchina dovevano trasmettere all’uomo futurista del primo ‘900 facevano il paio con l’idea bergsoniana di realtà come continuo fluire. La fascinazione per l’auto e per i motori rombanti è rimasta impressa nella produzione pittorica futurista ed in alcuni dei suoi capolavori: Velocità d’automobile, Automobile in corsa di Giacomo Balla oppure Dinamismo di un’automobile di Luigi Russolo.

Se la poetica futurista fece dell’automobile un simbolo fragoroso ed evidente di rottura con la cultura del passato, l’automobile stessa, più silenziosamente ma in maniera evidente nel lungo periodo, iniziò a condizionare pesantemente la pianificazione urbana. Interi quartieri furono sventrati per far posto a larghe strade che permettessero un più agevole e veloce scorrimento.

Facciamo qualche passo in avanti a arriviamo agli anni del boom economico e della diffusione di massa dell’auto. Lo sviluppo urbano inizia ad essere pianificato in base alle distanze copribili in auto, nascono interi quartieri lontano dai centri storici, spesso vicini a luoghi deputati alla produzione e alla gestione delle merci, un tempo scomodi da raggiungere a piedi o in bicicletta, In parallelo si assiste ad una vera e propria atomizzazione del tessuto urbano. Di conseguenza luoghi difficilmente raggiungibili in automobile iniziano a perdere il loro appeal, paesi montani e piccoli centri in zone comunque impervie, anche se abitati da secoli, sono investiti dai prodromi di un fenomeno di spopolamento che nei decenni successivi diverrà via via più massiccio.

Adesso anche gli altri consumi vengono influenzati dall’automobile. La possibilità di disporre di un bagagliaio o di un ampio abitacolo in cui stipare gli acquisti influenza il loro genere e la loro frequenza. Nascono i primi centri commerciali, spesso fuori città, ma a “tiro” di automobile, spesso corredati da grandi parcheggi.

L’automobile fa ormai parte non più solo dell’immaginario collettivo, ma della realtà di tutti i giorni. Pensate ai drive-in americani degli anni ’50: chi avrebbe mai pensato che fosse possibile assistere ad una proiezione cinematografica standosene seduti in macchina? Oppure ai fast-food che permettono di ritirare la propria ordinazione semplicemente affacciandosi dal finestrino: anche il cibo viene associato indissolubilmente alle quattro ruote.

A livello urbanistico la continua diffusione dell’auto ha prodotto vere e proprie soluzioni ad hoc, altrimenti del tutto inutili: le rotonde, i parcheggi sotterranei, la segnaletica orizzontale, i dossi artificiali. Oggi inquinamento e traffico stanno mettendo in discussione il modello di mobilità che da oltre un secolo ci accompagna: motore a scoppio, carburanti di derivazione fossile, titolo di proprietà sono minacciati da una nuova rivoluzione, quella dell’era dell’accesso, del car scharing, della propulsione ibrida ed elettrica, della guida autonoma.

Le nuove tecnologie sembrano guardare in questa direzione e l’auto senza pilota ne è in un certo senso l’emblema. Taichi Sakaiya direttore generale della Economic Planning Agency del Giappone, ha affermato che “ i beni materiali avranno importanza solo come contenitori o veicoli del valore -conoscenza (The image), l’auto elettrica insieme alle tecnologie che porterà con sé forse materializzerà proprio questo nuovo paradigma dell’economia”. Come l’auto a scoppio ha caratterizzato l’era del possesso, l’era dell’accesso sarà caratterizzata dall’auto elettrica?

(1.continua)

(la seconda parte sarà pubblicata domani)

 

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