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Quando il football insegna cos’è la social innovation

Charles Leadbeater, già consigliere del Primo Ministro Britannico Tony Blair, ha descritto il cambiamento del concetto stesso di innovazione e, in particolare, il processo che produce innovazione, spostandosi da antichi modelli lineari, all'attuale affermazione di modelli circolari dove i soggetti interagiscono, le competenze si contaminano, le sequenze tradizionali (dalla ricerca fondamentale, cui segue la ricerca applicata, poi lo sviluppo) vengono ribaltate e mescolate l'una con l'altra.

 

Per spiegare meglio questo concetto, Leadbeater utilizzò un paragone efficacissimo: pochi giorni dopo quella conferenza era in programma la finale di Champions League tra le squadre del Manchester United e del Barcellona, e l’economista blairiano spiego perché avrebbe sicuramente vinto il Barcellona (come in effetti poi avvenne).

Nella sua visione il Manchester rappresentava un modello di innovazione tradizionale e superato, con ruoli ben definiti e rigorosamente separati, con soggetti chiaramente assegnati a precise zone del campo, con tattiche classiche e sostanzialmente e prevedibili.

Il Barcellona rappresentava al contrario il concetto nuovo di OpenInnovation, dove l’innovazione si produce in modo nuovo, grazie a ruoli e soggetti in continuo movimento e interscambio, con tattiche di gioco rivoluzionarie, magari poco equilibrate, ma continuamente votate all’attacco, con movimenti di squadra totali e “a tutto campo”.

Ieri sera la partita della Roma contro il Parma mi ha permesso di individuare molti di quegli aspetti che stanno oggi caratterizzando l’evoluzione del concetto di Open Inovation verso il più attuale di Social Innovation.

L’innovazione, anche open, non è più un processo che si realizza dall’alto per poi essere calata verso il basso, con qualche accenno di snobistica superiorità verso le esigenze di riferimento (aspetto che, lo ammetto, si ritrovava anche in qualche momento di autocompiacimento del Barcellona), ma è diventata Social, sia nel senso che sempre più deve rispondere a esigenze sociali sia nel senso che sempre più avviene con maggiore efficacia se sono gli stessi soggetti civici che esprimono il bisogno a essere i protagonisti diretti dei processi di innovazione.

Il modo di giocare della Roma di oggi, guidata da Rudy Garcia, un tecnico franco-spagnolo, contiene tutti questi elementi: parte tutto da una straordinaria fame di rivincita a seguito della sconfitta con la Lazio del 26 maggio 2013, vissuta in modo drammatico da tutta la parte di Roma di fede giallorossa. Questa fame è avvertita in ogni partita dai tifosi che si identificano nella squadra che, a sua volta, ha riconosciuto la delusione della città, l’ha fatta propria e l’ha trasformata in un progetto di ricostruzione appassionata e vincente.

A questo si aggiungono le capacità tecniche, tattiche e di leadership dell’allenatore, che ha compattato un gruppo di individui poco inclini in passato a considerarsi “squadra”, ha trasmesso loro il suo coraggio, la sua ambizione, la sua personale fame di allenatore emergente, c’è’ l’interesse collettivo della squadra. Un allenatore sul quale, a inizio stagione, vi furono molti dubbi e perplessità, perché poco conosciuto e poco incline alla visibilità.

Questo vuole da sempre il tifoso della Roma, forse tra i più appassionati in giro, in una città che vive in modo sanguigno ogni cosa e ha sempre cercato, talvolta non trovandola, una profonda identificazione con la propria squadra.

Dal punto di vista tattico, la Roma di Garcia produce un calcio moderno, votato all’attacco ma molto equilibrato e attento alla fase difensiva, lontano dal classico gioco speculativo italiano, molto più vicino a modelli spagnoli o olandesi degli anni ‘70.

Nella partita di ieri ha segnato Rodrigo Taddei, un giocatore di 34 anni, da tempo poco presente tra i titolari della squadra, ma che in campo ha giocato con il coraggio e la voglia di un ventenne: al gol tutto lo stadio è esploso proprio perché ha riconosciuto nell’impegno di questo giocatore tutto quello che un tifoso di calcio vuole dalla sua squadra.

I ruoli in campo sono continuamente intercambiabili, si assiste a una compattezza, a un sostegno reciproco tra più giovani e più anziani, che rappresenta, senza esagerare, forse un modello di società civile che tutto auspichiamo. Dove il sacrificio di condividere un obiettivo comune è lo sforzo di tutti i membri della squadra, dei campioni più noti e dei giovani acquisti.

Uno sforzo che è fatto anche di sobrietà e solidità, dove intelligenza e fatica sono elementi fondamentali per raggiungere gli obiettivi e consolidare la capacità di una squadra, nella sua interezza.

Se a questo aggiungiamo che tutto questo è stato costruito senza neanche spendere cifre folli, ma con molta inventiva, talento, impegno, e applicazione, potremmo davvero concludere che questi modelli di innovazione sono la strada su cui un Paese avvilito e umiliato come il nostro dovrebbe percorrere, senza indugio, ma correndo e giocando la partita, quella vera, dello sviluppo. 

 

Fabrizio Cobis – Miur, Pon Ricerca e competitività (twitter @siboc)

Andrea Ferraretto – Economista, esperto di sviluppo locale e sostenibilità (twitter @andreacritico) – Blog su La Stampa

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